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Caritas Ambrosiana

«Libertà di prostituirsi? Alibi alle nostre ipocrisie»

Le intercettazioni telefoniche nell'inchiesta che ha portato all'arresto di una banda di romeni rivelano minacce e torture contro le donne in strada. «Chi va con loro è complice del racket», commenta don Roberto Davanzo

25 Giugno 2010

«I fatti di questi giorni confermano ancora una volta alcune nostre denunce. La prima è che i marciapiedi sono lottizzati dalla criminalità, quindi dietro ogni donna che si vende sulla strada, c’è molto probabilmente un’organizzazione che le sfrutta. La seconda è che l’età delle vittime di tratta si sta abbassando. La terza è che la violenza, il ricatto, il sopruso sono le note dominanti di queste vite alla deriva».
Così don Roberto Davanzo, direttore di Caritas Ambrosiana commenta l’operazione antiracket condotta in questi giorni dai Carabinieri del gruppo di Monza, coordinati dal pubblico ministero Ester Nocera, grazie alla quale è stata arrestare una banda di romeni che gestiva il traffico di prostituzione tra viale Sarca e viale Fulvio Testi, alla periferia nord di Milano.
L’inchiesta ha squarciato un velo anche sulla condizione delle ragazze, alcune anche minorenni, prelevate da un orfanotrofio romeno e costrette a vendersi dietro tortura e minacce. Una realtà che proprio la Caritas Ambrosiana conosce bene, dato che è presente nel quartiere proprio con un’unità di strada e che più volte ha denunciato il luogo comune della “prostituzione per scelta”. Inoltre, proprio grazie all’attività di coordinamento delle dieci unità di strada lombarde (gruppi di volontari che prevalentemente di notte incontrano e portano aiuto alle prostitute su buona parte del territorio regionale), è stato possibile realizzare anche una fotografia molto dettagliata del fenomeno.
La ricerca – i cui dati sono stati elaborati dall’Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità – stima che le donne vittima di tratta in Lombardia sono almeno 7 mila. Il gruppo nazionale più numeroso è quello rumeno (2124, circa il 30%), cresciuto di dieci volte negli ultimi sette anni. Seguono le nigeriane (2029) che ultimamente il racket ha spostato nelle zone più periferiche della città e nell’hinterland, per sfuggire ai maggiori controlli seguiti all’ordinanza anti-lucciole e al rischio di vedere le proprie donne, per lo più immigrate irregolari, identificate e trattenute nei Cie. Terzo gruppo più numeroso è rappresentato dalle donne albanesi, i cui sfruttatori oggi sembrano preferire altri traffici.
Dalla ricerca emerge anche che, proprio fra le ragazze rumene, l’età si è abbassata. Hanno mediamente meno di 24 anni e provengono da uno stato di deprivazione materiale e culturale che le espone più facilmente alla lusinga di una falsa promessa di lavoro che poi si traduce nello sfruttamento e nel ricatto in Italia. Tra costoro alcune sono minorenni, abbandonate dai genitori emigrati all’estero e cresciute negli orfanotrofi di stato con poche prospettive di futuro.
Le condizioni in cui sono costrette a vivere le donne, spesso poco più che adolescenti, nel nostro Paese sono spesso drammatiche. «Gli aguzzini hanno reagito in modo diverso al giro di vite delle forze di polizia – spiega suor Claudia Biondi, responsabile delle aree di bisogno di Caritas Ambrosiana -. C’è chi per evitare fughe e denunce ha pensato di allentare un po’ la morsa, concedendo alle proprie vittime più margini di libertà, in cambio di un maggiore fedeltà al gruppo; è chi, invece, ha ancora di più serrato il giogo, segregando le donne in casa, sottoponendole a torture e sevizie, per umiliarle e annichilire ogni capacità di reazione. Non a caso, infatti, meno del 10% trova il coraggio di chiederci di aiutarle a lasciare la strada».
«Le storie che emergono anche dalle intercettazioni telefoniche alla base dell’inchiesta di questi giorni dovrebbero farci interrogare sulla presunta libertà di scelta che spesso attribuiamo a queste donne – conclude don Davanzo -. In condizioni di disperazione tali la libertà è un concetto molto relativo che troppo spesso viene utilizzato come alibi per nascondere invece le nostre ipocrisie».
Caritas Ambrosiana è impegnata sul fronte della prostituzione con un’unità strada attiva a Milano, composta da due operatori e dieci volontari, che negli ultimi tre anni (2007/2009) ha incontrato in strada più di 1000 persone. Inoltre gestisce una comunità e alcuni appartamenti per la prima e seconda accoglienza per un totale di 13 posti. Gli alloggi e gli appartamenti sono a disposizione delle donne che decidono di avvalersi dei percorsi di protezione sociale previsti dall’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione. Un servizio il SeD (servizio disagio donna), offre, inoltre, assistenza sociale e legale. Sono state più di 200 le donne accolte nella comunità, più di 400 quelle che sono state accompagnate nei percorsi sociali e legali, più di 2000 le consulenze a cittadini, enti privati e pubblici, agli stessi clienti.
Infine l’ente ecclesiale coordina l’attività dei gruppi di volontariato impegnati sul campo in tutta la Lombardia (una ventina di sigle sotto le quali operano almeno duecento volontari). «I fatti di questi giorni confermano ancora una volta alcune nostre denunce. La prima è che i marciapiedi sono lottizzati dalla criminalità, quindi dietro ogni donna che si vende sulla strada, c’è molto probabilmente un’organizzazione che le sfrutta. La seconda è che l’età delle vittime di tratta si sta abbassando. La terza è che la violenza, il ricatto, il sopruso sono le note dominanti di queste vite alla deriva».Così don Roberto Davanzo, direttore di Caritas Ambrosiana commenta l’operazione antiracket condotta in questi giorni dai Carabinieri del gruppo di Monza, coordinati dal pubblico ministero Ester Nocera, grazie alla quale è stata arrestare una banda di romeni che gestiva il traffico di prostituzione tra viale Sarca e viale Fulvio Testi, alla periferia nord di Milano.L’inchiesta ha squarciato un velo anche sulla condizione delle ragazze, alcune anche minorenni, prelevate da un orfanotrofio romeno e costrette a vendersi dietro tortura e minacce. Una realtà che proprio la Caritas Ambrosiana conosce bene, dato che è presente nel quartiere proprio con un’unità di strada e che più volte ha denunciato il luogo comune della “prostituzione per scelta”. Inoltre, proprio grazie all’attività di coordinamento delle dieci unità di strada lombarde (gruppi di volontari che prevalentemente di notte incontrano e portano aiuto alle prostitute su buona parte del territorio regionale), è stato possibile realizzare anche una fotografia molto dettagliata del fenomeno.La ricerca – i cui dati sono stati elaborati dall’Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità – stima che le donne vittima di tratta in Lombardia sono almeno 7 mila. Il gruppo nazionale più numeroso è quello rumeno (2124, circa il 30%), cresciuto di dieci volte negli ultimi sette anni. Seguono le nigeriane (2029) che ultimamente il racket ha spostato nelle zone più periferiche della città e nell’hinterland, per sfuggire ai maggiori controlli seguiti all’ordinanza anti-lucciole e al rischio di vedere le proprie donne, per lo più immigrate irregolari, identificate e trattenute nei Cie. Terzo gruppo più numeroso è rappresentato dalle donne albanesi, i cui sfruttatori oggi sembrano preferire altri traffici.Dalla ricerca emerge anche che, proprio fra le ragazze rumene, l’età si è abbassata. Hanno mediamente meno di 24 anni e provengono da uno stato di deprivazione materiale e culturale che le espone più facilmente alla lusinga di una falsa promessa di lavoro che poi si traduce nello sfruttamento e nel ricatto in Italia. Tra costoro alcune sono minorenni, abbandonate dai genitori emigrati all’estero e cresciute negli orfanotrofi di stato con poche prospettive di futuro.Le condizioni in cui sono costrette a vivere le donne, spesso poco più che adolescenti, nel nostro Paese sono spesso drammatiche. «Gli aguzzini hanno reagito in modo diverso al giro di vite delle forze di polizia – spiega suor Claudia Biondi, responsabile delle aree di bisogno di Caritas Ambrosiana -. C’è chi per evitare fughe e denunce ha pensato di allentare un po’ la morsa, concedendo alle proprie vittime più margini di libertà, in cambio di un maggiore fedeltà al gruppo; è chi, invece, ha ancora di più serrato il giogo, segregando le donne in casa, sottoponendole a torture e sevizie, per umiliarle e annichilire ogni capacità di reazione. Non a caso, infatti, meno del 10% trova il coraggio di chiederci di aiutarle a lasciare la strada».«Le storie che emergono anche dalle intercettazioni telefoniche alla base dell’inchiesta di questi giorni dovrebbero farci interrogare sulla presunta libertà di scelta che spesso attribuiamo a queste donne – conclude don Davanzo -. In condizioni di disperazione tali la libertà è un concetto molto relativo che troppo spesso viene utilizzato come alibi per nascondere invece le nostre ipocrisie».Caritas Ambrosiana è impegnata sul fronte della prostituzione con un’unità strada attiva a Milano, composta da due operatori e dieci volontari, che negli ultimi tre anni (2007/2009) ha incontrato in strada più di 1000 persone. Inoltre gestisce una comunità e alcuni appartamenti per la prima e seconda accoglienza per un totale di 13 posti. Gli alloggi e gli appartamenti sono a disposizione delle donne che decidono di avvalersi dei percorsi di protezione sociale previsti dall’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione. Un servizio il SeD (servizio disagio donna), offre, inoltre, assistenza sociale e legale. Sono state più di 200 le donne accolte nella comunità, più di 400 quelle che sono state accompagnate nei percorsi sociali e legali, più di 2000 le consulenze a cittadini, enti privati e pubblici, agli stessi clienti.Infine l’ente ecclesiale coordina l’attività dei gruppi di volontariato impegnati sul campo in tutta la Lombardia (una ventina di sigle sotto le quali operano almeno duecento volontari).