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Maciacchini, quartiere multietnico e “sicuro”

In una zona ad alta densità di presenze straniere, si festeggiano i 50 anni della parrocchia San Giovanni Evangelista. Domenica 24 maggio, alle 10.30, messa con l'Arcivescovo. Tra le iniziative una pubblicazione tra passato e presente. E il parroco spiega che il futuro è già qui

5 Giugno 2008

21/05/2008

di Cristina CONTI

Periferia nord di Milano, tra piazzale Maciacchini e Pellegrino Rossi. Qui, cinquant’anni fa, è nata la parrocchia di San Giovanni Evangelista. Tante le iniziative per celebrare questo evento. Domenica 24 maggio, alle 10.30, ci sarà la celebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo per l’anniversario della dedicazione della chiesa. Inoltre èstato pubblicato un un libro e si terrà una serie di incontri, in cui personaggi del giornalismo e della cultura e uomini di Chiesa parleranno del passato e si interrogheranno sul domani.

«Abbiamo realizzato un fascicolo che contiene la storia della nostra comunità e preziose testimonianze dei suoi parrocchiani – spiega Paolo Danuvola, parrocchiano e autore del libro -. Uomini e donne che hanno vissuto l’età della contestazione e che oggi si trovano di fronte a un mondo in continua evoluzione e che per certi versi non si riconosce più. Storie di vita, che possono aiutarci a capire meglio il presente».

Da sempre la vita di questa parrocchia è legata fortemente ai grandi cambiamenti che coinvolgono la città, sia livello sociale sia culturale. «Negli anni Sessanta c’era un legame stretto con la società milanese – precisa Danuvola -. Dai documenti che abbiamo raccolto, da noi si svolgevano opere teatrali, per esempio, che portavano sul palco la vita e i dibattiti culturali dell’epoca. E nel tempo èrimasto costante anche il rapporto di stima e di fiducia nei confronti del clero. In tanti oggi ricordano con stima e simpatia i loro frati».

Così, una volta il quartiere era poco frequentato, abitato da gente giovane, di nazionalità italiana, con un lavoro sicuro e tante certezze. Invece oggi la comunità è ben integrata nel contesto urbano grazie al capolinea della linea gialla della metropolitana; la popolazione invecchia; il lavoro è flessibile e ci sono interi caseggiati in cui la presenza degli extracomunitari è di molto superiore a quella degli italiani.

«L’immigrazione è molto presente e varia per area geografica, cultura e lingua – racconta il parroco padre Giorgio Tarter -. Le persone di religione cristiana sono ben integrate. Ma ci sono anche casi in cui le persone si chiudono in se stesse». In via Imbonati, per esempio, c’è un caseggiato con 60 alloggi, di cui solo 5 o 6 sono italiani; poco lontano gli alloggi sono 43 e la metà degli abitanti è straniera. Ma i rapporti sono di buon vicinato.

La presenza di un alto numero di extracomunitari, inoltre, non è motivo di insicurezza: «Alle messe che stiamo celebrando in giro per il quartiere in occasione del mese della Madonna partecipano anche i musulmani, che danno addirittura una mano a preparare l’altare per la celebrazione». E alla domenica o nel tardo pomeriggio i bambini giocano insieme all’oratorio, nonostante la diversa appartenenza etnica.

«A temere, forse, sono soprattutto gli anziani, che si vedono attorno persone di aspetto, lingua e cultura diversa e non sono abituati. Penso, comunque, che solo tra diverse generazioni si potrà davvero capire dove porterà questa nuova realtà multietnica», sottolinea il parroco.

Anche la struttura urbana si sta modificando. Stanno nascendo nuovi edifici destinati ad abitazioni e un centro direzionale nell’area dell’ex Carlo Erba: elementi che porteranno molte facce nuove nel quartiere. Ma intanto i giovani preferiscono trasferirsi fuori città, dove i prezzi delle case sono più bassi e gli affitti più a buon mercato.

Un cambiamento che incide in realtà su tutta la vita della metropoli, che ogni giorno deve fare i conti con il traffico delle auto, i mezzi pubblici rallentati e sempre troppo poco tempo da dedicare alla famiglia e alle persone che si amano.

«Le nuove aziende porteranno soprattutto impiegati che vanno e vengono per lavoro – conclude padre Giorgio -. In pochi rimarranno a dormire e si costruiranno una vita sociale nelle nostre vie. Da noi, inoltre, c’è un numero sempre più alto di anziani. Figli e nipoti si allontanano per necessità e lasciano qui i loro cari, spesso da soli, nel momento più difficile della vita. Per fortuna si sono costruite buone relazioni di vicinato e di porta a porta. Tutti, quando hanno bisogno, possono sempre contare su qualcuno».

Un legame di amicizia che, in una città in cui si può anche morire senza che nessuno se ne accorga, può davvero fare la differenza.