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La mia passione di vetraio scoperta in carcere

Da 18 anni Santo Tucci lavora il vetro da vero maestro, un'arte che ha coltivato durante gli anni di detenzione. Il suo sogno è di insegnare il mestiere a giovani che vivono situazioni di disagio

28 Luglio 2008

07/08/2008

di Luisa BOVE

Spera di uscire presto a lavorare all’esterno Santo Tucci, che ha già ottenuto dalla Provincia di Milano uno spazio in via Settembrini, ma gli piacerebbe avviare anche una scuola. Ha iniziato quasi per caso e oggi è un vetraio d’eccezione (www.santotucci.it). «Faccio questo lavoro da 18 anni e non sono più sconosciuto», ammette l’artista. «Mi piacerebbe, una volta fuori spendere questa attività a beneficio dei ragazzi, senza precludere nessuno vorrei però rivolgermi in particolare ai giovani che vivono situazioni di disagio nelle grandi città dove ci sono fenomeni di bullismo». Insomma, taglia corto: «Vorrei offrire opportunità di lavoro a queste categorie di persone».

Oggi il suo laboratorio è nel carcere di Bollate. Già quando era a San Vittore aveva tentato di avviare l’attività, coinvolgendo anche altri, poi con il suo trasferimento si è bloccato tutto. Ma la passione per l’arte del vetro Tucci l’ha scoperta quando era recluso nel penitenziario di Voghera. Un giorno, durante un incontro esterno (era fuori in permesso premio, ndr) in cui doveva raccontare la sua esperienza insieme ad altri compagni, ha conosciuto «una signora che portava una spilla di vetro», ricorda. «Mi piaceva moltissimo e volevo comprarne una per la mia fidanzata, ma la donna mi disse che l’aveva fatta lei perché era una vetraia». Poi ha aggiunto che «sarebbe stata disposta a venire in carcere per insegnare il mestiere a me e ad altri se ci interessava». E così è stato.

«Io non avevo mai preso in mano un tagliavetro e da quel momento ho iniziato l’attività, me ne sono innamorato e non ho più smesso». In seguito Tucci si è diplomato, ha frequentato corsi professionali imparando diverse tecniche di lavorazione e si è confrontato con persone come Alessandro Grassi e Philippe Daverio.

«Nel 2001 il sindaco di Milano Albertini mi ha premiato con il “Panettone d’oro” perché mi ero speso a beneficio di tanti giovani insegnando a San Vittore attraverso la cooperativa “Ali” – spiega il detenuto -, mentre nel 2003 sono stato premiato dal sindaco Veltroni a Roma per aver realizzato una statua in vetro (prima esposta in Galleria a Milano, ora si trova in Campidoglio, ndr) ispirandomi alla vicenda di Amina Lawal, la ragazza nigeriana condannata alla lapidazione per adulterio».

«Èimportante il lavoro in carcere – dice Tucci -, non per passare il tempo o riempire la giornata, ma per scoprire altri valori, “accorciare” le distanze con il mondo esterno e allo stesso tempo dare un senso alla pena, ripagando la società (per quanto possibile) attraverso un’azione che possa ricostruire il patto sociale». E conclude: «Attraverso il mio lavoro, quindi l’arte, scopro quanta strada ho fatto e potrei fare, indicandola anche ad altri che non hanno avuto questa possibilità e dando loro una speranza».