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Giocare a palla con la luna

È il sogno infantile di uno scrittore di origine romena, ora cittadino italiano, che all'incontro su "Convivenza e dialogo" ha raccontato la sua esperienza di integrazione

5 Giugno 2008

22/04/2008

di Rosangela VEGETTI

Sul filone tematico della “Convivenza e dialogo”, domenica 20 aprile, alla Chiesa cristiana protestante di via De Marchi a Milano, si è svolto l’annuale appuntamento promosso dalla Casa della Cultura, dal Centro culturale protestante, dalla Chiesa cristiana protestante e dalla Comunità di Sant’Egidio di Milano.

Per l’Italia l’immigrazione è ancora «un fenomeno poco conosciuto – ha spiegato Ferruccio Capelli, della Casa della Cultura -. Fino a vent’anni fa non si poteva immaginare di avere con noi 3 milioni di persone che non fossero di origine italiana». Ora siamo alla seconda generazione: nuovi italiani, che hanno radici in altri Paesi e diverse culture, ma che qui stanno ormai consolidando altre radici.

Una nuova geografia culturale si è andata delineando, cambiando il volto sociale del nostro Paese. Di fatto, molti immigrati sono diventati o nati italiani e sono di lingua italiana; colore e religione a parte, intendono lavorare per far progredire l’Italia, il loro Paese.

Tra loro ci sono anche scrittori e poeti che raccontano la fatica dell’integrazione. Ecco l’interesse del recente incontro che ha posto al centro della riflessione proprio “La parola ai nuovi italiani – racconti di integrazione”. Sono autori non ancora famosi al grande pubblico, ma i loro libri sono pubblicati, partecipano a incontri letterari e vincono premi. Si sono meritatamente inseriti nel nostro tessuto culturale e producono pregevoli e innovative opere letterarie.

«Per anni ho fatto parte della giuria di un premio per giovani scrittori immigrati – precisa Erminia Dell’Oro, scrittrice nata ad Asmara, da oltre trent’anni in Italia -. Se 15 anni fa i racconti erano sempre storie drammatiche di partenze e viaggi penosi, di radici spezzate, di sacrifici inauditi, poi si sono affacciati i più giovani e i racconti si sono fatti più ironici, divertenti, di contrasti e di mediazioni culturali. Ora abbiamo scrittori interessanti e molto variegati. Il punto importante verso l’integrazione è il lavoro nelle scuole. Io scrivo molto per i bambini e vado spesso soprattutto nelle scuole elementari, dove i bambini sanno integrarsi senza problemi, se non sono gli adulti a crearli. Hanno voglia di imparare, senza pregiudizi».

«Io sono scrittore e poeta – dice Mihai Mircea Butcovan, nato in Transilvania -, ma da insegnante prima di tutto mi considero un professionista dell’educazione. Mi è stato detto che devo considerarmi “ospite” in Italia, ma ormai sono cittadino a tutti gli effetti. Fin dal mio arrivo sapevo che avrei dovuto imparare la lingua e approfondire la cultura di questo Paese. Da bambino mi piacevano i libri, le storie fantastiche; mi piaceva anche giocare a pallone con gli amici, e ne avevo tanti, molti dei quali ungheresi. Quante cose abbiamo imparato gli uni dagli altri! E poi mi piaceva giocare a palla con la luna. Ricordo le sere in cui, con la fantasia e col naso all’insù, la facevo rimbalzare sulle cime degli alberi e su qualche nuvola solitaria».

Ma perché scrivere? «Per dire chi sono – ha spiegato Pap Khouma, senegalese, direttore del giornale on line El Ghibli -. Il mio primo libro è stato Io venditore di elefanti (1990). Sentivo domande ricorrenti da parte degli italiani e le risposte erano date da italiani, spesso molto fantasiose. Così ho voluto iniziare a dialogare. Fino alla metà degli anni Novanta tutti ritenevano l’immigrazione un fenomeno contingente e passeggero, di breve durata, ma si tratta di un cambiamento storico. D’altronde, nella seconda guerra mondiale decine di migliaia di soldati di varie nazionalità sono morti per difendere la libertà dell’Italia: anche mio padre ha combattuto qui contro il nazismo, era volontario e ha scelto di combattere per l’Europa. La maggioranza di quei morti era di religione musulmana: questo non viene detto nelle scuole quando si parla dello scontro di civiltà. Ora siamo solo “immigrati”, eppure siamo figli e nipoti di quei soldati morti».

E all’Italia di domani pensano i giovani delle nuove generazioni, il ponte tra un passato lontano di altre storie e di diverse tradizioni e un presente di vita quotidiana tra normalità e di scambio, accoglienza e reciproca conoscenza. «Vorremmo dare qualcosa in più – ha detto Lubna Ammoune, ventenne di padre siriano e madre tedesca, musulmana, aspirante medico e scrittrice -, attraverso le nostre radici, immettendo pensieri e considerazioni arricchiti da ulteriori esperienze. Ho scoperto una società in movimento con tante dinamiche che entrano in gioco e con prospettive tutte da scoprire».