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Abitanti precari, volto nuovo della città

Il fenomeno - evidenziato dal Rapporto sulle povertà in diocesi - colpisce italiani e stranieri. In crisi coniugi separati, giovani coppie, famiglie e immigrati

14 Ottobre 2008

16/10/2008

di Pino NARDI

Li hanno definiti gli “abitanti precari” della Milano 2008. È l ’identikit di una fascia in aumento della popolazione, che fa proprio fatica, che arranca, in progressivo impoverimento. Soprattutto esprime un disagio abitativo. Una porzione di milanesi, vecchi e nuovi, che soffre.

Uomini separati che non riescono a mantenere i figli e a pagare con un solo stipendio il monolocale. Giovani coppie che non guadagnano abbastanza per permettersi l’affitto. Famiglie che non ce la fanno a sostenere le rate del mutuo, diventate troppo pesanti per redditi già consumati dal carovita. Stranieri che non possono dare una sistemazione dignitosa ai familiari che li hanno raggiunti dal Paese di origine.

Èquanto emerge dal Settimo Rapporto sulle povertà nella diocesi di Milano presentato la scorsa settimana. L’indagine è stata condotta dall ’Osservatorio diocesano delle povertà e delle risorse, su un campione di quasi 16 mila persone incontrate in 61 centri di ascolto presenti nelle parrocchie e agli sportelli dei servizi della Caritas Ambrosiana. In larga parte si tratta di donne (quasi il 70 %), di età media 40 anni, per lo più straniere (75 %).

Tra i bisogni emergenti, il Rapporto mette in luce proprio il disagio abitativo, legato non solo a situazioni di grave emarginazione, ma anche a condizioni sociali più ordinarie. Sono quattro i fattori più importanti. Innanzitutto l’aumento del canone degli affitti: di fronte a una crescente domanda di alloggi e a un ristagno dell’offerta, i canoni hanno raggiunto, soprattutto nei grandi Comuni, dimensioni consistenti: secondo i dati della Camera di Commercio, a Milano sono cresciuti oltre l’inflazione e la spesa per l’abitazione erode sempre più il reddito complessivo. Soprattutto è insufficiente l’offerta abitativa per le fasce sociali più deboli (edilizia residenziale popolare).

Secondo, i cambiamenti della struttura familiare: aumentano i nuclei composti da una sola persona, spesso anziana, che possono contare su un unico reddito. Terzo, l’aumento della povertà: correlato alle nuove forme di lavoro, precarie e con basse retribuzioni, che non permettono né l’acquisto di una casa di proprietà, né la sostenibilità di affitti alti (in particolare quelli del mercato privato). In tali condizioni (giovani coppie, famiglie monoreddito e immigrati), l’equilibrio economico è difficile da mantenere nel tempo.

Infine, la domanda abitativa degli immigrati: gli affitti più alti, richiesti agli stranieri a titolo di “garanzia implicita” e il crescente fenomeno del ricongiungimento familiare, hanno indotto una fascia a orientarsi all’acquisto della casa, però con l’aggravante della difficoltà per l’accesso al sistema creditizio.

Secondo il Rapporto «il fattore “famiglia” può essere determinante nello studio del disagio abitativo. Infatti, pur con le dovute eccezioni, gli operatori dei centri di ascolto rilevano come la mancanza del supporto della famiglia di origine per gli stranieri (rimasta nel Paese di provenienza) o la fragilità e disgregazione della famiglia per gli italiani privano le persone di quel sostegno tanto utile a fronte di problemi abitativi e non solo».

Ruolo fondamentale di sentinella sul territorio, i centri di ascolto «agiscono attraverso un lavoro di rete, con gli enti e le associazioni pubbliche e private. Pur affrontando grandi difficoltà che vanno oltre l’ambito dell’intervento dei centri, dalle interviste agli operatori traspare un’attività ricca di creatività e impegno costante nella ricerca di risorse e possibilità di aiuto». Come le attività di orientamento e accompagnamento della persona, l’attivazione di famiglie tutor e il collegamento con i custodi sociali.

Non mancano anche interventi economici (ad esempio prestiti, mediante il contributo di alcune fondazioni), la gestione di strutture di accoglienza assieme ad altre associazioni, la fornitura di pacchi viveri.

«Non possiamo parlare di una forma conclamata di povertà, ma non possiamo nemmeno tacere il disagio a cui sono sottoposte tante famiglie – sottolinea don Roberto Davanzo, direttore della Caritas Ambrosiana -. Condizioni situate in una zona di “transizione”: non così povere da essere raggiunte dagli interventi delle istituzioni pubbliche, ma al tempo stesso vulnerabili. Sappiamo che diverse famiglie si trovano in questa situazione e sarebbe pericoloso ignorare le conseguenze che si avrebbero se nessuno si occupasse di loro. L’esclusione sociale, il senso di abbandono da parte della comunità, l’isolamento a cui andrebbero incontro, non farebbe altro che favorire l’impoverimento e la fragilità della famiglia stessa. Infatti, essere esclusi, non avere gli strumenti e i canali necessari per far valere i propri diritti è già di per sé un fattore negativo, una condizione ingiusta seria e concreta».

Un annuncio viene dal Comune di Milano: entro il 2015 ci saranno 10 mila nuovi alloggi in affitto a prezzi calmierati. Intanto, però, le parrocchie possono svolgere un ruolo importante. «Le comunità cristiane trovano nei centri di ascolto un luogo privilegiato dove unire risorse, idee, tempo per rendere possibili quei tanti progetti, piccoli, ma estremamente efficaci, che intrapresi da soli sembrano irrealizzabili – sottolinea don Davanzo -. La funzione di animazione, che nei centri di ascolto assume un’accezione particolare, interpella individualmente ciascuno di noi, ma può realizzarsi veramente se le famiglie e la comunità stessa non agiscono come tanti individui separati, bensì come “soggetto sociale”».