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Università Cattolica

La sussidiarietà come una vocazione

Passato, presente e futuro nel convegno “Cattolicesimo sociale lombardo e welfare State: genesi e attualità”

di Annamaria BRACCINI

6 Giugno 2014

La responsabilità che viene da una grande e profetica storia alle spalle e da un presente e futuro, con la crisi, incerto per tutti. La Lombardia e il suo modello di welfare – «un laboratorio di idee che immagina il domani», perché di questo si è parlato presso l’Università Cattolica, per un’intera Giornata di studio dedicata a “Cattolicesimo sociale lombardo e welfare State: genesi e attualità”, ha appunto per intero questa responsabilità.

Specie quando, come oggi, una «visione dello Stato-Provvidenza è sempre meno realistica», secondo quanto ha sottolineato, in apertura dei Lavori, Vincenzo Cesareo, docente in Cattolica e sociologo che ha ripercorso il cammino ricco e articolato di quello che definiamo il principio di sussidiarietà. Così come è definito dalla Costituzione all’articolo 118 e 120 e dal quinto articolo del Trattato dell’Unione Europea. Termine e concetto modernissimo, dunque, ma radicato nel «profondo della tradizione occidentale, da Aristotele in poi». E ben lo si comprende pensando che il grande Stagirita già «teorizzando la presenza di due sfere, quella privata e quella allargata al sociale», prefigurava la sussidiarietà costituzionale “in senso verticale, con la ripartizione gerarchica delle competenze spostata verso gli enti più vicini al cittadino e, quindi, più vicini ai bisogni del territorio” e “in senso orizzontale con il cittadino, che attraverso i corpi intermedi, deve avere la possibilità di cooperare con le istituzioni”. In mezzo, tra il principio filosofico di oltre ventitré secoli fa e la legge attuale, passando per San Tommaso, vi è, ineludibile, la Dottrina sociale della Chiesa in cui «la natura autosufficiente, ma non sufficiente del singolo, si pone alla base di una riflessione sul rapporto tra società e individuo già matura nella Rerum Novarum e poi, in Quadragesimo Anno con la sua sottolineatura dei doveri dello Stato e dei corpi intermedi». Infine – e siamo a oggi – la Deus Charitas est, Enciclica di papa Benedetto del 2005 che esplicita una dottrina della Stato fondato sulla natura relazionale della persona. Insomma, non uno Stato che faccia “da madre e padre” al cittadino con servizi standardizzati e anonimi, ma una realtà istituzionale e condivisa democraticamente cui si chiede di valorizzare e sostenere la persona.

E tutto questo con un profilo peculiare che caratterizza il Cattolicesimo sociale, come ha evidenziato monsignor Mario Delpini, vicario generale e segretario della Conferenza Episcopale Lombarda promotrice del Convegno. «Il welfare indica un principio organizzativo, mentre il Cattolicesimo sociale dice di un  aspetto dell’ascolto sul e nel territorio che indica un coinvolgimento personale. Due logiche – per Delpini – chiamate a integrarsi in nome di quel bisogno e sostegno della persona che tanto è evidente nella storia lombarda».

Vicenda approfondita nella relazione del professor Costantino Cipolla del Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia dell’Università di Bologna, che ha affermato la necessità di studiare più meglio il tema in analisi e, più in generale, la questione aperta del contributo della Chiesa al sociale. Modello «non studiato prima per le note vicende dello scontro tra Regno d’Italia e Vaticano, dopo Porta Pia e, successivamente, per l’avvento del fascismo». Tornando a “fare scuola storica” solo negli anni ’60 – per Cipolla – «comunque ci si occupa più di conciliatoristi e intransigenti che di cattolicesimo sociale». Eppure, questa storia è davvero affascinante e riguarda, in modo unico, la Lombardia: non «genericamente il nord Italia, perché anche se si parla del Lombardo-Veneto, la storia del Veneto è tutta diversa». 

Basti pensare a don Enrico Tazzoli (1812-1852) che segue e supera don Ferrante Aporti, cremonese, fondatore dei primi asili d’Italia, o a santa Maria Crocifissa di Rosa, fondatrice delle Ancelle della Carità che si distinguono nelle Dieci Giornate di Brescia. E proprio le suore sono, in questo senso, rivoluzionarie. «La sussidiarietà, nell’aiuto alle ragazze povere, negli asili, nell’assistenza ai malati, nasce non come impianto, ma come vocazione. Liberale o intransigente, il Clero lombardo e sociale, nella sua fede e nella sua prassi, non è più chiuso nei palazzi nobiliari. Come scrive don Tazzoli, un clero che cessa di essere parassita e sta vicino ai più poveri, tra il popolo».

Impegno sociale, Società di mutuo soccorso, fund raising, scuole serali, fondazione di Casse rurali con Geremia Bonomelli vescovo a Cremona o Guindani a Bergamo, sono gli strumenti di una modernità straordinaria. Ed è, allora, solo il caso di citare che, alla radice della Croce Rossa fondata dal protestante Jean Hanry Dunant, c’è il suo aver assistito al soccorso dei feriti a Solferino e Castiglione delle Stiviere, durante la II guerra di Indipendenza. Più lombardo di così… Lombardo come «il triangolo d’oro del cattolicesimo sociale nato tra Mantova, Cremona e Brescia».

«Un modo non solo concreto di rapportarsi alla realtà e al bisogno, ma di colloquiare con le istituzioni», ha osservato Edoardo Bressan, storico dell’Università di Macerata. Un “sistema” ancora oggi straordinariamente fecondo, come hanno testimoniato le esperienze, portate all’incontro, dalle Suore di Maria Bambina, dai Fatebenefratelli, dalle Ancelle della Carità, dall’Opera san Francesco e dai Centri di Ascolto alla povertà.