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Casa della Carità

«Io sono Antonio, non sono zingaro»

Storie di positive integrazione presentate nell’affollato incontro “Essere cittadini oltre ogni discriminazione. I rom si raccontano”

di Silvio MENGOTTO

20 Febbraio 2013
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Solo due anni fa Milano era tappezzata di manifesti contro “Zingaropoli”, l’emergenza nomadi e i campi abusivi. Sulla questione-rom oggi è calato il silenzio, non il pregiudizio.

In questi ultimi anni molte famiglie rom sono state accompagnate dalla Casa della Carità lungo percorsi virtuosi per uscire dalla povertà e dall’esclusione sociale. Storie raccontate martedì 19 febbraio nell’auditorium della Casa, nell’affollato incontro “Essere cittadini oltre ogni discriminazione. I rom si raccontano”. Con don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità, sono intervenuti Marco Aime, antropologo dell’Università degli studi di Genova, e Nazzareno Guarnieri, presidente della Fondazione Romani Italia, che ha presentato la campagna “Tre Erre” per Milano.

Per Aime oggi «c’è il pericolo di un ritorno al razzismo, in forme diverse e più sofisticate, non più sulla razza, ma in nome della cultura. Si parte dalla cultura mentre si pensa ancora alla razza. Ma le culture – ha precisato – sono recipienti aperti, non chiusi».

Per questo occorre raccontare storie positive e poco conosciute. Come quella di Bianca, venuta dalla Romania ad abitare in un campo irregolare: «Sono senza marito e ho tre figli, uno dei quali disabile. In Romania per le cure del bambino dovevo pagarmi tutto, pannolini e siringhe compresi, e così capitava che per un mese o due non potesse avere le terapie necessarie». Frequentando l’ospedale di Niguarda Bianca incontra altri ostacoli: «Parlavo male l’italiano e non riuscivo nemmeno a raggiungere il padiglione di cui avevo bisogno. Le persone non mi rispondevano, non leggevano nemmeno i fogli su cui c’erano indicazioni per loro facili da interpretare». La svolta quando Bianca incontra i volontari di Casa della Carità: «Ho smesso di chiedere soldi, i bambini hanno cominciato ad andare a scuola con regolarità e mio figlio ad avere le cure di cui ha bisogno con continuità. Ho anche trovato un lavoro, ma senza l’aiuto della Casa non ce l’avrei mai fatta…». Oggi vive in una casa con i suoi figli: «Possiamo pensare al futuro, con la scuola che sta dando ai miei bambini un’educazione come ai ragazzi italiani. Il più piccolo parla meglio l’italiano del romeno e dice sempre: io non sono zingaro, io sono Antonio. Ho anche il nome italiano…» .

C’è poi Anka che in una lettera racconta la storia della sua famiglia, un marito e quattro figli. Dalla Romania arriva alla periferia di Milano in cerca di lavoro. Anni di vita difficile in un campo abusivo oggi sgomberato, dove incontra l’aiuto della Casa della Carità. Oggi Anka lavora come cuoca, vive in una casa e i bambini frequentano regolarmente la scuola.

Dal 2005 al 2009 Casa della Carità ha accolto in emergenza 328 persone rom di 70 famiglie, di cui 57 inserite nel progetto “Villaggio solidale”. Oggi sono 41 le famiglie che vivono in una casa, hanno un reddito da lavoro e mandano i loro figli a scuola. Tra il 2005 e il 2012 ha seguito direttamente i percorsi di scolarizzazione di 433 tra bambini e adolescenti e promosso un percorso importante di promozione del ruolo delle donne. Tra le attività promosse la costituzione della Banda del Villaggio Solidale, che ha tenuto oltre 250 concerti in Italia, l’accordo col Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano per il progetto “Sulla strada della musica”. Con la Fondazione Romani Italia la Casa della carità ha sottoscritto la Campagna “Tre Erre” a Milano contro il pregiudizio e per l’inclusione sociale dei giovani rom. «Abbiamo aderito – ha spiegato don Colmegna – perché accompagna il lavoro concreto che da anni come fondazione portiamo avanti “nel mezzo”, nelle periferie e nei campi della nostra città. Siamo convinti che dal pregiudizio e dalla discriminazione nei confronti dei rom si può partire per combattere e sconfiggere questi sentimenti nei confronti di ogni minoranza». «Nel programma – ha aggiunto Guarnieri – c’è anche l’obiettivo dei “Fuochi attivi” per la formazione di attivisti rom in ambito sociale e culturale con lo scopo di accendere un incendio di conoscenza».