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Intervista

Gualzetti: «Le eredità di Expo,
possiamo già raccogliere i primi frutti»

Il vicecommissario del Padiglione della Santa Sede: «Gli incontri nelle parrocchie sulle opere di misericordia sono connessi al messaggio lanciato durante l’Esposizione. E l’appello del Papa e dell’Arcivescovo all’accoglienza non è caduto nel vuoto»

di Francesco CHIAVARINI

7 Febbraio 2016

Due padiglioni (quello della Santa Sede e della Caritas) sul diritto al cibo spirituale e materiale, la denuncia delle disuguaglianze, la speranza per un mondo migliore. Sei mesi di incontri, testimonianze dentro il sito e nelle parrocchie. Durante Expo Milano 2015 la Chiesa, e in particolare la Diocesi di Milano, ha fatto un grande lavoro di semina. Quali sono i frutti raccolti dalle comunità ambrosiane? Ecco il bilancio, ancora provvisorio, che trae Luciano Gualzetti, vicedirettore di Caritas Ambrosiana e vicecommissario del Padiglione della Santa Sede durante il semestre espositivo. 

Gualzetti, quale eredità spirituale lascia Expo alla Chiesa milanese?
In Diocesi non ricordo un altro periodo come quello del semestre espositivo, in cui nelle nostre comunità si sia riflettuto con tanta profondità, consapevolezza e visione globale, su un tema così cruciale, che da sempre ci interroga, come il diritto al cibo. L’enciclica di papa Francesco, arrivata a metà dell’Esposizione col suo grande messaggio per un’ecologia integrale, ha fatto fare poi un salto di qualità all’opera di sensibilizzazione nelle nostre comunità. I frutti verranno. Ma ne vedo già almeno un paio. Il primo è l’attenzione ai temi, che continua con gli incontri nelle parrocchie sulle opere di misericordia, connessi al messaggio lanciato in Expo. Il secondo frutto è il rinnovato impegno per profughi: l’appello del Papa e del cardinale Scola non è caduto nel vuoto in Diocesi. Se riusciremo a potenziare il nostro sistema di accoglienza portandolo a mille posti, sarà anche merito del lavoro di semina fatto nei mesi passati.

Si è detto che dopo Expo la Chiesa avrebbe lasciato alla città anche un’eredità materiale: il Refettorio Ambrosiano. È andata davvero così?
Direi di sì. Il Refettorio Ambrosiano, nato da un’idea di Massimo Bottura e Davide Rampello, continua a funzionare con lo stesso spirito, coniugando lotta allo spreco, bellezza e dignità. L’associazione culturale per il Refettorio tiene accesa l’attenzione sul cibo come nutrimento dell’anima e non solo del corpo. Gli operatori della cooperativa Farsi Prossimo e i 90 volontari provenienti da tutta la città con il loro stile fanno di questo posto non solo una mensa, ma un vero luogo di accoglienza. Grazie a tutto questo possiamo già vantare qualche buon risultato: qualcuno dei nostri ospiti non va più a cenare al Refettorio, perché ha trovato un lavoro o ha migliorato la sua situazione e non ne ha più bisogno.

C’è anche un’eredità che la Chiesa lascia agli organizzatori delle prossime Esposizioni?
Noi pensiamo che le Esposizioni universali non debbano più essere la celebrazione della potenza del capitalismo, come lo sono state nel Novecento, ma del limite, perché è dal riconoscimento delle finitezza dei beni ambientali, delle risorse energetiche e naturali che si possono trovare le leve per uno sviluppo responsabile. Se si vorrà continuare su questa linea, credo non solo utile, ma necessaria l’alleanza tra governi, imprese e cittadini associati nelle forme della società civile e delle Chiese. Come è avvenuto, anche se in modo ancora acerbo, a Milano.

 

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