Share

Cernusco sul Naviglio

«Promuovere sobrietà, cura per la casa comune, custodia del Creato, investimenti lungimiranti»

Presso il Cinema Agorà affollato incontro dedicato al futuro dell’economia, promosso dalla Fondazione Solidarietà Mutualità Sussidiarietà. Relatori d’eccezione l’Arcivescovo e l’economista Carlo Cottarelli

di Annamaria Braccini

21 Febbraio 2019
L'economista Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio dei conti pubblici italiani dell’Università Cattolica di Milano, con l'arcivescovo monsignor Mario Delpini, relatori dell'incontro, al Cinema Agorà, dedicato al futuro dell’economia

L’etica, l’economia, le trasformazioni necessarie di fronte al permanere di gravi vizi nazionali, anzi, di veri e propri “peccati capitali”. È una serata di riflessione importante quella che, presso il Cinema Agorà di Cernusco sul Naviglio, riunisce quasi 500 persone (in collegamento video anche una seconda aula) per approfondire questi temi insieme all’Arcivescovo e a Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio dei Conti pubblici italiani dell’Università Cattolica di Milano. L’occasione è significativa: si ricordano i 100 anni della Nuova Cooperativa Agricola Cernuschese e il 70° della Cooperativa Edificatrice Constantes. Due videoclip presentano le attività delle due realtà: la prima, nata nel 1918 per rispondere ai bisogni della popolazione, oggi opera nel campo della distribuzione con 5 supermercati, un centinaio di dipendenti e circa 800 soci; la seconda, sorta nel 1948 per rispondere all’emergenza abitativa e della ricostruzione, ha dato casa nei decenni a 3500 famiglie e conta attualmente 300 soci.

Con il titolo “Quale economia ci dà futuro?”, l’incontro vede la presenza dei presidenti delle due Cooperative (Maurizio Comi e Alberto Tagliafierro) e la moderazione di Carlo Assi della Fondazione Cernusco SMS – Solidarietà Mutualità Sussidiarietà, avviatasi nel 2018, che propone l’evento cui partecipano anche il sindaco Ermanno Zacchetti, molti assessori, il senatore cernuschese Eugenio Comincini, il prevosto don Luciano Capra e tanti esponenti del mondo civile e imprenditoriale del territorio.

Nelle parole dell’Arcivescovo la voce dei poveri del mondo si fa invito e monito per credenti e non.

L’intervento dell’Arcivescovo

«La terra è stanca dell’avidità che la deruba, di essere sfruttata, stanca della mano rapace che strappa le sue viscere. Stanca dell’ingordigia che prosciuga le acque, dell’insolenza e della barbarie che la copre di rifiuti, insultando la bellezza e i profumi che l’adornano. La stanchezza della terra sembra generare una specie di risentimento che diventa azione vendicativa come le stagioni che impazziscono».

Così anche i «poveri sono stanchi di vivere di stenti su terre e fiumi che potrebbero essere generosi e offrire prodotti in abbondanza; stanchi di essere poveri su una terra ricca di ogni ben di Dio e saccheggiata da invasori gentili e ben vestiti, ma implacabili e insensibili; stanchi di essere considerati presenza scomoda proprio nella terra dei loro padri, indesiderati nella loro patria, condannati allo squallore tra giacimenti di diamanti, ridotti alla fame tra miniere d’oro».

Se le proteste dei poveri, oggi, «risuonano ridicole e insignificanti nei palazzi dove si decidono le sorti dei popoli», nessuno sa, tuttavia – osserva il l’Arcivescovo -, «fino a quando essi si limiteranno al lamento e alla rassegnazione o alla distrazione inebriante. Forse, un giorno, la loro rabbia diventerà una guerra inutile che renderà ancora più desolata la terra».

Infatti, se Dio non smette di amare i suoi figli e «non si decide a ripulire la terra da coloro che la insultano, circondando di infinita pazienza questa umanità meschina e mediocre», nemmeno l’ideologia «si è stancata di insinuare, nell’umanità, l’avidità, l’ossessione dell’accumulare senza misura e senso di responsabilità verso gli altri».

L’accumulo «che considera il fattore umano come un fastidio per gli affari, il rispetto dell’ambiente come una ingenuità poetica e che rende i poveri sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi è un modo per adorare l’idolo, Mammona».

Che fare, allora? Chiara la risposta: «La proposta cristiana è quella di scrivere una pratica economica che sia una forma di servizio a Dio».

Il riferimento è all’Enciclica Laudato si’ di papa Francesco «per un’ecologia integrale come proposta di un piano di resistenza, forse anche di battaglia, al fine di contrastare la pretesa di Mammona di dominare la storia».

Da qui alcuni spunti: in primis, «la visione del giardino». «I cristiani si ispirano al giardino che non è una favola, ma la rivelazione della visione orientata da Dio. Visione che dice che la vita è benedetta per tutti e che l’uomo è collocato nel giardino per custodirlo per sé e per le generazioni a venire».

Poi, l’istanza locale. «Le tematiche economiche hanno dimensioni così sconfinate che possono ridurre a un senso di impotenza e di rassegnazione che fa considerare velleitaria e ingenua ogni aspirazione a osare un cambiamento, ma il Papa ci dice che l’opzione locale può fare la differenza rispetto ai macro problemi della macroeconomia. È lì che può nascere una maggiore responsabilità, un forte senso comunitario, una speciale capacità di cura e una creatività più generosa». Come, peraltro, testimonia la storia, appunto, delle Cooperative e la loro profezia «nel contesto delle tematiche contemporanee».

«Ci sono momenti in cui si diffonde la persuasione che il criterio per giudicare l’andamento di un Paese sia l’indice di Borsa. La cura per il bene comune, che è il compito della politica, impone invece di orientare anche l’economia al servizio della convivenza solidale dei cittadini di oggi e di domani».

Al di là dello sterile lamento o del generalizzato – e non giustificato – discredito lanciato sulla politica, le motivazioni per agire hanno qui le loro radici. «Per un’economia che propizi un futuro sereno, si devono rimboccare le maniche persone che abbiano buone motivazioni per resistere alle seduzione di Mammona con la sapienza che riconosce l’appartenenza alla comunità, la destinazione universale dei beni disponibili e ne deduce un criterio di sobrietà, di cura per la casa comune, di custodia delle risorse, di investimenti lungimiranti».

La riflessione di Cottarelli

Dal suo recente saggio I sette peccati capitali dell’economia italiana prende avvio la riflessione di Carlo Cottarelli che, subito, sottolinea: «Negli ultimi venti anni non è aumentato il reddito medio. Non era mai successo, dal 1871, che la nuova generazione non stesse meglio di quella precedente».  

La domanda è: cosa dobbiamo cambiare? «Sono convinto che sarebbe un errore uscire dall’euro, ma è giusto riconoscere i problemi che ne sono venuti, come i costi di produzione che hanno continuato a crescere più che in altri Paesi europei, come la Germania. Quando aumentano i costi e si condivide la stessa moneta, si perde valore concorrenziale. Bisognava, allora, agire su altre problematiche, come l’evasione fiscale – in Europa stanno peggio di noi solo la Romania e la Grecia – per cui lo Stato perde circa 130 miliardi l’anno e si pensi che, per l’Istruzione e l’Università, spende la metà, 65mld».  

Poi, la burocrazia con regole per cui, per i soli moduli, la piccola e media impresa spende 31 miliardi annui, ossia quasi il 2% del PIL.

Vi è, inoltre, la lentezza della giustizia civile. «Anche se le cose sono un po’ migliorate dal 2014, si deve ricordare che in Germania i processi durano in media 2 anni e 2 mesi, 3 anni e 7 mesi in Francia, da noi oltre 7 anni».

Quinto “peccato”, «forse il più grave per gli effetti sull’economia, è il crollo demografico con un tasso di fertilità sceso all’1,32%. Ciò ha gravissime ripercussioni sulle pensioni e sulla crescita dell’economia». Infine, l’immancabile divario tra nord e sud.

«Se vogliamo recuperare la nostra capacità di crescita sono questi i comparti di cui occuparci». Insomma, tutto si tiene perché «molte di queste complessità hanno a che fare con la debolezza del nostro capitale sociale, ossia con l’egoismo, la mancanza di senso civico e della collettività, la litigiosità che intasa la giustizia. Cerchiamo sempre risposte nello Stato, ma ciascuno deve impegnarsi. Bisogna ripartire dalla scuola e dai piccoli, insegnando l’educazione civica e trasmettendo i valori ai figli e ai nipoti in famiglia».  

In conclusione, arriva qualche domanda anche relativa a cosa può fare la Chiesa per portare etica nell’economia e nel mondo del lavoro.  

«La Chiesa – nota l’Arcivescovo – è fatta di tutti i battezzati». Torna l’esempio delle cooperative: «I cristiani incidono nella misura in cui sono insieme, perché condividono valori e sono fortemente motivati, avendo, così, la capacità di affrontare le sfide del presente. Il mio auspicio è che i laici si facciamo avanti in questa strada ardua che, però, è seminagione di futuro. Tutti credono in qualcosa, ma la questione è in che cosa si crede e ciò che ne deriva. Non esistono non credenti, esistono persone che credono in valori diversi, ma anche in disvalori».