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DOCUMENTO

1° maggio, Acli: una maggior cooperazione europea per un lavoro più umano

La riflessione delle Acli milanesi in occasione della Festa del lavoro: «Le proposte per un’Europa più sociale ed equa a cui lavoreremo insieme alle organizzazioni sociali, sollecitando le istituzioni e accompagnando i lavoratori per contribuire dal basso a rimettere la persona al centro delle politiche europee»

1 Maggio 2019

È davvero difficile parlare di Festa del Lavoro di fronte all’aumento del 10% delle morti sul lavoro registrate nel 2018 rispetto al 2017, soprattutto se si pensa che il 1° maggio dell’anno scorso era stato dedicato proprio a questo dramma.

La sicurezza e la salute sul lavoro dovrebbero essere il primo elemento fondamentale di un lavoro degno dell’uomo. Infatti non si lavora per produrre ma si lavora prima di tutto per guadagnarsi onestamente il pane, come ci ricorda spesso Papa Francesco.

Certo gli infortuni mortali e le malattie professionali non sono automaticamente associabili a lavori indecenti, però non può sfuggire che questa situazione si presenta in un contesto lavorativo che presenta  altre condizioni in evidente peggioramento:

la riduzione degli stipendi che colpisce numerose categorie con un aumento significativo  dei lavoratori poveri; l’aumento delle disparità tra gli stipendi percepiti dai massimi dirigenti delle aziende e quelli dei lavoratori a livelli medio-bassi; il persistere di disparità di genere nelle retribuzioni; la sovra-educazione crescente dei lavoratori rispetto alle mansioni affidate.

L’aumento della precarietà del lavoro legata non solo al numero di contratti a tempo determinato, ma al fatto che le grandi aziende sempre meno italiane e internazionalizzate, sono propense a spostarsi nei paesi dove le tutele e i livelli salariali dei dipendenti siano meno costosi e dove il regime fiscale sia più favorevole, allo scopo di aumentare i propri profitti, rende molto meno sicuri e stabili anche i contratti a tempo indeterminato.

La dipendenza del tessuto produttivo italiano costituito da imprese medio piccole, per non dire micro-imprese, dalle forniture delle multinazionali e da tendenze del mercato e della finanza su cui non hanno alcuna influenza reale, si ripercuote su tutti i lavoratori coinvolti, che  spesso devono accettare ritmi e orari di lavoro elevati e retribuzioni modeste pur di conservare il proprio posto. Luoghi di lavoro dove vi sono minori possibilità di fornire ai lavoratori quelle competenze professionali necessarie ad adattarsi ai cambiamenti imposti da globalizzazione, digitalizzazione e automazione del lavoro, con effetti negativi per la possibilità delle imprese di sopravvivere, sia di ricollocare i lavoratori che vi lavoravano in caso di fallimento.

La bassa qualificazione del lavoro rende più difficile al lavoratore procurarsi alternative al proprio posto e più facile sostituirlo. La vicenda dei riders è solo un caso eclatante di quali effetti possano avere sulle condizioni di lavoro la bassa qualifica e la mancanza di reali possibilità di contrattazione dei lavoratori. Basse retribuzioni, grande flessibilità e ritmi di lavoro esasperanti purtroppo sono presenti in altri ambiti lavorativi.

Con il paradosso di avere alta disoccupazione, lavoratori stacanovisti e bassa produttività.

La politica sembra non essere in grado di correggere queste distorsioni sia per la difficoltà di incidere su dinamiche economiche e produttive internazionali con provvedimenti sulle regole del mercato del lavoro che agiscono al massimo su scala nazionale, sia per le scarse capacità di controllo sull’effettiva applicazioni delle norme. Come dimostra lo scarto tra obiettivi e risultati conseguiti dalle norme introdotte dal Jobs Act di Renzi e dal recente decreto Di Maio.

L’Unione Europea può invece essere più efficace su alcuni di questi aspetti: contrastare lo strapotere della finanza e delle multinazionali come ha dimostrato in questi anni con normative che intervenivano le caratteristiche dei prodotti e a tutela della concorrenza; realizzare politiche economiche e sociali coordinate tra gli stati dell’Unione per reggere la competizione con le politiche economiche di  concorrenti come Cina e USA; sostenere la produzione agricola e offrire opportunità di lavoro e studio in altri paesi (programma Erasmus).

Ne sono sempre più consapevoli le organizzazioni che rappresentano lavoratori ed imprese che, in un appello comune in vista delle prossime elezioni europee, evidenziano la necessità di accelerare la convergenza tra i sistemi fiscali e di protezione del lavoro tra gli stati, e sviluppare il dialogo sociale e la contrattazione. Esse richiedono di completare l’unione economica e rafforzare quella politica tra gli stati

Il modello è quello di una crescita economica inclusiva e sostenibile e l’impegno a realizzare migliori condizioni di vita e di lavoro.

Il futuro di un lavoro più sicuro, più sano e più degno della persona passa perciò attraverso un rafforzamento dell’Unione Europea a livello politico ed economico che

  • assicuri uno sviluppo sostenibile sul piano sociale ed ambientale, che rafforzi la cooperazione tra gli stati, riduca gli squilibri territoriali esistenti in termini di occupazione e diritti, riduca le forme di competizione interna al ribasso,
  • aumenti le opportunità per i giovani e i percorsi formativi di adattamento dei lavoratori maturi ai cambiamenti del lavoro,
  • aumenti la responsabilità sociale delle aziende rispetto ai lavoratori e ai territori dove operano.

Si tratta di obiettivi ampiamente dichiarati sia delle istituzioni europee sia delle parti sociali, che devono essere tradotte in azioni concrete. E’ improrogabile passare all’azione.

Sono anche le proposte delle Acli per un’Europa più sociale ed equa a cui lavoreremo insieme alle organizzazioni sociali, sollecitando le istituzioni e accompagnando i lavoratori per contribuire dal basso a rimettere la persona al centro delle politiche europee.

Buon 1° maggio!

La presidenza delle Acli milanesi