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Gli oratori e il miracolo dell’integrazione

Il cristianesimo è accogliente e non si schiera con chi vuole dividere le nazioni, i popoli assegnando ai "migliori" il posto privilegiato e lasciando gli altri alla porta, confinati nei loro ghetti, nella povertà e nella miseria

4950 - per_appuntamenti Redazione Diocesi

23 Novembre 2009

di Vittorio CHIARI

“È bello rischiare quando ci si affida a mani onnipotenti”. È una frase di Paolo VI, riportata nei “Dialoghi” che ha tenuto con lui lo scrittore francese Jean Guitton.
Ogni tanto vado a riprendere libri che oggi sanno di antico, tanto il tempo scorre veloce. Leggendoli sembra di abbeverarsi ad una fonte che butta ancora acqua fresca, tanto sono attuali quando sono scritti da saggi che attingono alla Sapienza di Dio.

Nei “Dialoghi”, Guitton cita, parlando dei viaggi del Papa, Victor Hugo, uno scrittore che non è certo uno stinco di santo, secondo i giudizi dell’uomo, ma che ha scritto pagine bellissime di grande umanità: «Non bisogna sopprimere le nazioni ma farle sedere nella casa comune, ciascuna col suo genio e il suo viso familiare. È anche necessario che questa “casa” abbia una sua sede, che sia veramente un’istituzione, che si sappia dove ritrovare le nazioni».

Questa “casa delle Nazioni” per noi credenti è la Chiesa di Cristo ma anche l’Onu, il tentativo dell’uomo di costruire un luogo di riconciliazione e di pace delle nazioni della terra, dove anche la Chiesa più volte è stata invitata a parlare attraverso la voce del Papa.

“Il Papato non è una nazione, non ha il suo posto tra le nazioni… ma il papato è più di una nazione e può essere invitato tra di esse, come Gesù fanciullo tra i dottori” per annunciare il Vangelo della giustizia e del buon senso, il Vangelo della pace, il Vangelo della Speranza, il Vangelo dell’amore che spalanca a tutti la porta della fraternità affermando che siamo tutti figli di Dio, tutti uguali di fronte a Lui!

Per questo la Chiesa di Cristo lotta, per questo ogni credente deve lottare. Il cristianesimo non ha confini né divisioni di razze.
È accogliente e non si schiera con chi vuole dividere le nazioni, i popoli assegnando ai “migliori” il posto privilegiato e lasciando gli altri alla porta, confinati nei loro ghetti, nella povertà e nella miseria.

Se abbassiamo il cristianesimo a livello di una ideologia o di partito politico, le scelte concrete che nascono da una cultura di bassa lega, seminano nei nostri ambienti, negli oratori e nelle scuole la voglia matta di erigere muri, selezionare “i clienti” (sic!), mettendo in riserva lo straniero, il diverso, il povero, dimenticando che il mondo del dolore e della sofferenza, della fame e della povertà è lo spazio privilegiato dei credenti, della Chiesa, di chi ha per unica bandiera da sventolare: la carità!

Questa lotta per un mondo nuovo, per costruire la civiltà dell’amore non può essere separata da Dio! È un rischio da correre l’operare scelte nel civile, partendo dalla fede in Dio, che rifiuta ogni forma di segregazione e spinge ad andare incontro con “carità” a chi arriva da noi, privo di casa, di lavoro, di istruzione.
Non possiamo abbandonare questi nuovi compagni di strada che il Signore pone nelle nostre scuole, nei nostri oratori, nelle nostre parrocchie.

Sono operazioni umane di accoglienza e interventi puntuali, che tocca a noi risolvere con la buona volontà e l’aiuto di Dio.
Anche con un pallone da calcio come mi raccontava quell’affascinante personaggio dello sport, che è Bruno Pizzul: “Nel primo dopoguerra, a Cormons, paese vicino a Gorizia, la tensione tra chi voleva passare a Tito e alla Jugoslavia e quelli che volevano rimanere italiani, era forte. Anche noi ragazzi eravamo divisi. E’ bastato che il parroco si presentasse con un pallone da calcio – l’unico nel paese – perché nel gioco superassimo l’assurda divisione”.

Nel gioco le regole sono universali e i ragazzi, giocando tra loro, vanno facilmente oltre il colore della pelle, il mistero della lingua diversa e imparano a stare insieme, soprattutto se qualche adulto non li ha deformati con i loro discorsi e li hanno educati invece alla semplicità evangelica del cuore che li fa sentire tutti uguali, tutti figli di Dio.

Negli oratori, come nelle scuole, ogni giorno occorre tentare il miracolo dell’integrazione, nello stare insieme, lavorando nei laboratori, confrontando le proprie culture e… pregando il proprio Dio, che non vuole certamente popoli divisi, lotte tra fratelli.

Gesù Cristo è morto per abbattere ogni forma di divisione mentre la volgarità del pregiudizio razziale annulla ogni traccia di umanità, annulla il Vangelo, se potesse. Nella storia hanno provato più volte di farlo. Non ci sono riusciti e non riusciranno perché il credente “si affida a mani onnipotenti”, quelle di Dio, Padre di tutti.