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Un linguaggio che ci porta dentro il mistero

25 Agosto 2006

Non illudiamoci: non sarà sufficiente celebrare delle belle messe per riempire le chiese». Lo dice padre Pietro Sorci, docente alla Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia, rispondendo alle numerose domande al termine della sua relazione, giovedì, nell’aula magna dell’Università dell’Insubria, nella fase conclusiva della Settimana Liturgica che ha il compito di avviare i partecipanti sulla strada verso il Convegno ecclesiale di Verona.

«La liturgia serve per alimentare spiritualmente i credenti, non per evangelizzare chi non lo è: non carichiamo questo momento, già così significativo, di funzioni che non gli sono proprie », spiega lo studioso. E’ vero, infatti – come alla fine del suo intervento racconta – che secondo il padre dello storiografia russa, il monaco Nestore, il principe Vladimiro si convertì e fece convertire il suo popolo, perché i suoi emissari furono impressionati dal rito delle celebrazioni bizantine; tuttavia i canti, gli incensi, le immagini possono coinvolgere veramente ed intimamente solo chi conosce il significato di quei gesti, di quei suoni, delle storie che raccontano quei mosaici. Discorso dunque rigoroso ma realistico.

«Non pensiamo all’Eucaristia come alla panacea di tutti i mali», incalza Sorci. Ci sono, specifica il religioso, altre forze alle quali la Chiesa può attingere per avvicinare a sé i cosiddetti lontani. «Ci sono la catechesi e la testimonianza», esemplifica il relatore. E a pensare bene non può che essere così. Se la liturgia è la forma attraverso la quale il popolo di Dio comunica con il Signore, occorre conoscere il codice di quel linguaggio per poterlo non solo apprezzare ma anche utilizzare efficacemente.

Una lingua di cui non si conoscono né la grammatica né il vocabolario è solo un insieme di segni indecifrabili che inevitabilmente sarà dimenticato. Ciò naturalmente non significa rassegnarsi al fatto che la liturgia sia appannaggio solo di una ristretta cerchia di credenti eruditi, o peggio, augurarselo, coltivando magari la nostalgia di una forma celebrativa più raffinata e colta.

Padre Sorci è fedele all’insegnamento del Concilio Vaticano II che volle una volta per tutte celebrazioni eucaristiche “intelligibili”, cioè comprensibili per la coralità dei fedeli. Semplicemente occorre prendere atto che esistono segni dei quali vanno appresi i significati perché siano efficaci. Non a caso è all’insegnamento che Sorci si dedica. Ed è un dottissima lezione quella che consegna al suo pubblico.

Il discorso prende le mosse dal significato della liturgia: memoria del mistero pasquale, della morte e risurrezione di Cristo. «I tempi, i luoghi, le ore del giorno: tutti questi elementi ci dicono che quello che stiamo facendo, quando celebriamo, è ricordare un evento accaduto. Si pensi ad esempio alla domenica per l’Eucaristia, all’orientamento delle antiche chiese verso Oriente, all’altare come luogo del sacrificio », dice Sorci.

«Ma questa memoria è rivolta al futuro, è aperta alla speranza, al compimento ultimo della Salvezza». Attraverso la liturgia inoltre i credenti «proclamano la loro fede». E lo fanno secondo Sorci non con l’intento di difenderla da chi la mette in discussione, come può avvenire in un concilio, ma senz’altro scopo che di celebrarla, dunque, in atteggiamento disinteressato, di stupore e grazia.

L’obiettivo non è, spiega lo studioso, né didattico né apologetico, ma dossologico. Dunque la liturgia fa memoria, loda, rende grazie. Se qualcuno ha solo per un attimo dubitato della centralità di questo momento nella vita di un credente, può ora definitivamente ricredersi. Padre Sorci, citando Pio XI, sottolinea che «la Chiesa crede come prega».

«Quel grande pontefice riteneva che la fede si conoscesse meglio nella preghiera che addirittura nelle encicliche», aggiunge. Ma c’è poi un secondo aspetto che attiene alla modalità attraverso le quali la liturgia assolve a queste funzioni. Qui il discorso si sposta dai contenuti alle forme. «La liturgia è azione simbolica, rituale, comunitaria e gratuita, comprensiva di gesti e di parole», spiega lo studioso. Ma di più. «E’ un’azione che coinvolge tutto l’uomo e i suoi sensi, attraverso oggetti, suoni, colori, odori e sapori».

La partecipazione alla liturgia non è dunque solo un’esperienza razionale, ma anche emotiva e sensoriale. Gli inviati del principe russo Vladimiro, per tornare da dove abbiamo cominciato, quando assistono alle celebrazioni nella grande basilica bizantina di Costantinopoli, dicono al loro signore che durante il rito non sapevano più se si trovavano in cielo o in terra. «La liturgia è un rapimento momentaneo che ci proietta fuori dal tempo e dallo spazio nel cuore del mistero». Ma certo, occorrono la fede e la conoscenza del linguaggio con la quale essa si esprime. Francesco Chiavarini