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Dalla Curia

Un comunicato per aiutare a comprendere la verità dei fatti

L'articolo di un quotidiano ricostruisce in modo non corretto fatti la cui consistenza è tuttora oggetto di un procedimento penale, cercando di coinvolgere l'Arcivescovo di Milano, il suo predecessore e l'allora Vescovo ausiliare

21 Dicembre 2017

È in corso il procedimento penale che vede imputato don Mauro Galli, accusato di violenza sessuale ai danni di un giovane che, al tempo dei fatti in contestazione (dicembre 2011), aveva 15 anni. Una tortuosa, complessa e oscura vicenda sulla quale la giustizia farà luce all’esito del processo penale.

Un organo di stampa ne dà notizia anche oggi, ricostruendo i fatti in modo parziale e non del tutto corretto, esprimendo giudizi arbitrari e traendo conclusioni non rispettose della verità e delle persone citate.

L’articolo in questione omette dei fatti fondamentali per comprendere correttamente la vicenda. Primo fra tutti è che l’episodio contestato risale al 2011, quando ancora nessuno era a conoscenza di quanto realmente accaduto e soprattutto quando ancora la parola “abuso” si manteneva distante dal racconto della vicenda.  E infatti solo nel luglio 2014 il legale della presunta vittima ha presentato la denuncia querela.

Quindi né monsignor Mario Delpini, né monsignor Pierantonio Tremolada, né il cardinale Angelo Scola e altri responsabili dell’Arcidiocesi di Milano hanno coperto o insabbiato alcun reato.

Ecco in sintesi la ricostruzione della vicenda.

Nell’immediatezza dei fatti ora oggetto di indagine – siamo nel dicembre 2011 – era emerso soltanto che don Mauro Galli aveva ospitato presso la sua abitazione il ragazzo (con il consenso previo dei genitori del minore) dormendo quella notte nello stesso letto a due piazze: la narrazione degli avvenimenti consentiva di escludere che fosse avvenuto un episodio di abuso.

Un atteggiamento – quello del sacerdote – di sicuro gravemente imprudente, ma che – stando alla conoscenza dei fatti dell’epoca – di certo impediva di ipotizzare qualsivoglia reato.

Va infatti sottolineato che il ragazzo esporrà solo anni dopo, nel 2014, una versione dei fatti penalmente rilevante, contrariamente a quella raccontata immediatamente dopo l’accaduto.

Per quanto attiene alle assegnazioni di don Mauro, nell’immediatezza dei fatti il sacerdote viene anzitutto affidato a uno psicologo affinché inizi (come è poi accaduto e in via cautelativa) un percorso che lo aiuti a ricostruire e comprendere la natura e la verità del gesto gravemente imprudente accaduto.

Don Mauro viene quindi trasferito da Rozzano a Legnano con provvedimento dell’1 marzo 2012, firmato dall’allora Vicario Generale della Diocesi monsignor Carlo Redaelli, anche se l’allontanamento effettivo del sacerdote dal ragazzo era intercorso ben prima. Questo primo trasferimento era motivato dall’inopportunità di lasciare a Rozzano don Mauro dopo l’episodio in oggetto, nel frattempo divenuto notorio. Con il trasferimento a Legnano don Mauro viene affidato in modo particolare a due sacerdoti per un accompagnamento personale.

Anche in questo caso, dunque, lo spostamento di don Mauro rispondeva a una logica “cautelativa”, non di certo alla consapevolezza da parte della Diocesi o della parrocchia di un sospetto abuso.

Dopo ulteriore riflessione l’Autorità diocesana decide successivi spostamenti, attribuibili a monsignor Mario Delpini dopo l’assunzione formale da parte di quest’ultimo, nel luglio 2012, del ruolo di Vicario Generale della Diocesi di Milano.

Nel dettaglio, il 31 ottobre 2012 don Mauro Galli viene prima destinato alla cura pastorale della Cappellania Ospedaliera di San Maria Annunciata in Niguarda – deliberatamente lontano dal contatto con i minori – e con provvedimento del 10 luglio 2013 inviato a completare il suo percorso di studi a Roma, con residenza (effettiva dal settembre 2013) in un istituto religioso abitato solo da adulti.

Ciò avviene ancora per le medesime ragioni precedentemente esposte: evitare il contatto di don Mauro con il ragazzo e la sua famiglia, pur non essendo emerso alcun fatto di rilievo penale.

A metà del 2014 la famiglia del ragazzo racconta una nuova versione del fatto del 2011, parlando di abusi e nel luglio 2014 viene presentata la denuncia querela dai loro legali.

Il 21 gennaio 2015 viene aperta l’indagine previa con la conseguente trasmissione dei risultati alla Congregazione per la Dottrina della Fede della Santa Sede

La Congregazione della Dottrina della Fede affida poi la questione al Tribunale Ecclesiastico Lombardo (organismo indipendente dalla Diocesi di Milano) per l’apertura della causa canonica penale.

Il 18 maggio 2015 il sacerdote viene fatto oggetto del provvedimento di sospensione in modo cautelativo dall’esercizio del ministero sacerdotale.

Queste decisioni mai hanno avuto l’intento di “coprire” il caso né da parte del cardinale Scola, né da monsignor Delpini o da monsignor Tremolada o da altro esponente della Curia milanese.

Testimoniano invece con evidenza l’intento di operare con scrupolo e coscienza, nel rispetto di tutte le parti, nell’ossequio delle prescrizioni canoniche e delle leggi italiane, decidendo ogni volta con gli elementi e le informazioni disponibili in quel momento.

Non a caso la decisione di trasferire don Mauro da Rozzano, fu presa soprattutto in accoglimento delle sollecitazioni della famiglia del ragazzo nel 2013, quando questi non avevano ancora denunciato alcunché.

È infatti emerso chiaramente nel corso della scorsa udienza celebrata dinnanzi al Tribunale di Milano che la famiglia del ragazzo ha appreso i fatti con maggiore contezza soltanto nel 2014, quando il sacerdote era già stato trasferito a Roma da un anno.

È evidente dunque che la Diocesi ha agito in modo tempestivo ed efficace, ancor prima che fossero emersi fatti di rilievo penale. Ne sono prova, come già specificato:
1 – la presa in carico della situazione con l’affidamento allo psicologo
2 – i diversi trasferimenti di don Mauro: prima il cambio di parrocchia, poi l’allontanamento dal contatto con i ragazzi
3 – la costante disponibilità al dialogo (di persona e per lettera) con la famiglia da parte di diversi esponenti della Curia di Milano e dell’allora Arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola.

Allo stesso modo l’Autorità diocesana interveniva secondo protocollo dopo la denuncia querela del 2014.

Intercorsa nel frattempo la nuova versione dei fatti e la denuncia querela del 2014, l’Autorità diocesana – dimostrando così atteggiamento trasparente – ha agito ulteriormente. Ne sono prova:
1 – la sospensione cautelativa di don Mauro dal ministero e da ogni attività pastorale
2 – l’apertura dell’indagine previa e la trasmissione dei risultati alla Congregazione per la dottrina della fede della Santa Sede
3 – l’affidamento della causa da parte della Congregazione della Dottrina della Fede al Tribunale Ecclesiastico Lombardo con l’apertura della causa canonica penale
4 – la collaborazione alle indagini.

L’Arcidiocesi di Milano fa inoltre presente che a oggi non risulta parte del processo penale, in cui è stata coinvolta insieme alla parrocchia di Rozzano, solo inizialmente, in qualità di responsabile civile. La qualifica in questione è venuta meno per la intervenuta revoca della costituzione di parte civile nel processo penale da parte del ragazzo e della famiglia, stante l’accordo transattivo conseguito con don Mauro Galli su cui né la parrocchia, né l’Arcidiocesi hanno avuto qualsivoglia ruolo morale o materiale.

Nel dolore per la sofferenza che questa vicenda continua a suscitare in questo ragazzo ormai diventato adulto, alla sua famiglia, a don Mauro e a tutte le parti coinvolte, l’Arcidiocesi di Milano che – lo si ripete – non è in alcun modo chiamata in causa nella vicenda giudiziaria, né ha mai intrapreso azioni risarcitorie, ribadisce la volontà – se necessario – di continuare la collaborazione alle indagini per giungere alla ricostruzione della piena verità sui fatti in esame.

Ufficio comunicazione
Arcidiocesi di Milano