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9 Ottobre 2007

Ma più di frequente, è lui, il Selvaggio, che decide di farsi vedere dagli uomini. Forse perché ha qualcosa da far sapere, forse per divertirsi un po’, forse perché anche i Selvatici, qualche volta, soffrono di solitudine. Quassù, del resto, l’ammettono in tanti: i segreti di come fare quei squisiti formaggi, i rimedi con cui curare animali e cristiani, le soluzioni ai problemi piccoli e grandi di chi vive in montagna, sono stati insegnati proprio dall’Homo Salvadego parecchi anni fa, al tempo dei padri dei padri. E molto ancora si sarebbe potuto conoscere, se solo gli uomini fossero stati più gentili e più riconoscenti con queso buon Selvaggio… Fuori ci attendono le montagne innevate e i pascoli smeraldini della Val Gerola, ma è bene soffermarsi ancora un poco in questa stanza dipinta di Sacco. Perché, avendo familiarizzato ormai con la figura del Salvadego, il nostro sguardo può ora spaziare attorno, e accorgersi di una bella Pietà sulla parete a fianco, a cui si aggiunge un robusto sant’Antonio Abate, con tanto di maialino e campanella. Una presenza, quest’ultima, che non ci stupisce affatto, in verità, sia per la straordinaria venerazione tributata a sant’Antonio in tutto il Medioevo, sia per quel suo ruolo di protettore degli animali che ben si lega, ci pare evidente, con la fama del nostro Uomo Selvaggio… In ginocchio, a contemplare la sacra scena, un po’ in disparte, un uomo ben vestito, con berretta e calzari. È Agostino Zugnoni, ricco mercante della valle, che nel 1464 diede incarico a Battistino e Simone – lo si legge in una scritta in alto – di dipingere questi affreschi in casa sua. Sui muri, riproduzioni floreali (cardi giganteschi e rosette, soprattutto) a mo’ di elegante tappezzeria, e tante scritte, in volgare e in latino: «Vivendo rettamente non temere alcuno», «Quando la fortuna finisce spariscono anche gli amici», «Un grande avere chi non lo sa conservare, presto lo vede consumare», «Quando vai a dormire fai il segno della croce, e altrettanto farai quando ti alzi», e molte altre ancora. Un florilegio di proverbi, un condensato di saggezza popolare da avere sempre sotto gli occhi, su cui meditare, su cui riflettere. Perché, a questo punto ne siamo certi, la Camera Picta doveva essere una sorta di rifugio, uno studiolo in cui messere Agostino, colto e benestante, poteva ritirarsi o accogliere gli amici più cari. Su tutti avrebbe vegliato l’Homo Salvadego, simbolo della natura selvaggia e incontaminata e, paradossalmente (ma non troppo), paladino delle buone maniere e del vivere civile. «Chi mi offende, gli fò paura». Magari gli uomini avessero un po’ più di rispetto di tutto ciò che questo singolare personaggio rappresenta…