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9 Ottobre 2007

testo e foto di Luca Frigerio
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Benvenuti a Sacco, in Val Gerola, sopra Morbegno. Benvenuti nella dimora dell’Uomo Selvatico. Se tra questi monti vi spinge l’intelligente curiosità di scoprire cose nuove e cose antiche, se a muovervi è la passione per la bellezza che vale e l’amore per la natura, allora lui, il Salvadego, sarà per voi un buon padrone di casa, ospite premuroso, generoso di consigli. Ma se le vostre intenzioni non sono più che cordiali… Beh, allora dall’Homo dei boschi e delle rupi sarà bene tenersi alla larga. Lui, del resto, ci ha avvertito: «Sonto salvadego per natura, chi me offende ghe fò pagura». Chiaro, no? Il “messaggio” è scritto in gotiche lettere nella Camera Picta, cioè “dipinta”, di Sacco: un luogo semplice eppure di straordinaria suggestione, unico e inatteso. Accanto al cartiglio, quasi un fumetto, il ritratto dell’Homo Salvadego, che i più impazienti possono subito osservare girando la pagina. Guardatelo bene, non fatevi impressionare. Coperto di peli come una scimmia, irsuto come un orso, ha lunghi capelli e barba fluente. Eppure il portamento è tutt’altro che animalesco, e i tratti del volto sono gentili, lo sguardo forse velato di nostalgia, la bocca socchiusa come in un sospiro. Tra le mani stringe un nodoso bastone, quasi una clava. Ma, almeno per il momento, non sembra avere intenzione di usarla… Eccolo, dunque, il famoso, temuto, inafferrabile Uomo Selvaggio, in una delle sue più interessanti rappresentazioni. Già, perché il suo mito, in realtà, è diffuso lungo tutto l’arco alpino e transalpino, dove da tempo immemore si tramandano storie e leggende sul suo conto. Nelle quali a cambiare, eventualmente, sono i nomi – Salvanel in Trentino, Omeon del busch a Bormio, Bragula pelùs in Valchiavenna, e via dicendo – ma non certo l’identità e le caratteristiche, che sono sempre le stesse e che ricorrono con impressionante fedeltà. Dire chi sia, tuttavia, non è semplice. Il Selvatico è restio, riservato, e si compiace di una buona dose di mistero, che usa per proteggersi, e che ne alimenta la leggenda. C’è, ma (spesso) non si vede. Agisce, ma non si sa bene come, quando e perché. Per questo, da sempre, egli è considerato come una sorta di divinità delle valli e delle montagne, collega popolaresco dei più blasonati Pan e Silvano, cari ai romani. Ma la sua natura, lo dice il nome, è certamente umana. Mentre invece la sua forza, la sua agilità, il suo fiuto, appartengono più alla specie animale. Insomma, un bel pasticcio. O, meglio, un enigma affascinante. Dove abiti, poi, nessuno lo sa. La Camera Picta della Val Gerola ne conserva l’effige, certo, ma l’Homo Salvadego sembra prediligere grotte e caverne, gli anfratti oscuri e inaccessibili, i boschi più fitti. Andare a scovarlo nella sua “tana” è pressoché impossibile: tutti i racconti, a questo proposito, sono concordi. A volte lo si incontra per caso, improvvisamente, inaspettatamente, mentre il gregge si abbevera a una fonte, o dopo una tormenta di neve, o se ci si è persi lungo un sentiero sconosciuto…