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Milano

Scola: «La cura è un’arte che ha bisogno
di libertà e relazione»

L’Arcivescovo ha partecipato alla serata che ha concluso i festeggiamenti per i dieci anni dell’Associazione “iSemprevivi+”: «Il vostro segreto è una comunità parrocchiale capace di accogliere». Nella sua Lectio l’invito a guardare alla malattia mentale con rispetto e amore

di Annamaria BRACCINI

2 Dicembre 2015

È una pastorale della sofferenza, quella che si racconta nell’Auditorium Beato don Giacomo Alberione, gremito di gente di ogni età per i dieci anni dell’Associazione “iSemprevivi+ Onlus”, che dal 2005 si occupa di educazione e solidarietà psicologica per adolescenti e giovani segnati dal disagio mentale. Accanto al cardinale Scola, che svolge la sua Lectio magistralis dedicata a «Dolore, isolamento e comunità», ci sono don Domenico Storri – per tutti “Dondo”, psicologo e psicoterapeuta, fondatore e anima dell’Associazione – e don Sante Torretta, parroco della vicina parrocchia di San Pietro in Sala, dove tutto è nato e che rimane il vero punto di riferimento dell’attività dei “Semprevivi”. «Una porzione di Chiesa per cui tale realtà e la presenza dell’Arcivescovo sono un dono grande», dice don Sante in apertura.

E se il “Sempre vivo” è un fiore di montagna resistente e dalle radici solide, ben si capisce perché don Storri ne abbia scelto il nome per la sua iniziativa, che cura i malati proprio con la “montagno-terapia”. «È un fiore che richiede poca terra e poca acqua e diviene un bellissimo fiore colorato», spiega. Evidente la metafora, «che richiama la necessità di predisporre un terreno sociale capace di riattivare tutte le potenzialità del soggetto e soprattutto di avere un luogo dove l’identità della persona sia riconosciuta». Spazio ideale e concreto che i “Semprevivi” hanno trovato nella comunità parrocchiale, mobilitatasi «attraverso nuove strategie» inserite nel profondo di una pastorale dell’umano a 360°, che ha «fatto bene» anche alla parrocchia, nel cui oratorio, i ragazzi “semprevivi” si incontrano, lavorano, crescono, ormai, con assoluta normalità.

Idea vincente e profetica, se dopo dieci anni l’Associazione vede l’impegno attivo di circa cinquanta volontari (quasi tutti presenti alla serata), di una équipe di diciotto professionisti tra psicologi e psichiatri, di un centinaio di utenti, inviati da diversi Centri di salute mentale – l’Associazione siede al Tavolo di Coordinamento della Salute mentale del Comune di Milano -, di Laboratori per avvicinare alla vita sociale chi è in difficoltà, di tre Case di accoglienza e di uno sportello psicologico di supporto alla persona e alla famiglia che, in un triennio, ha preso in carico oltre cinquecento ragazzi e adulti. «La parola d’ordine è “naturale”, da realizzare attraverso una strategia pastorale ben precisa e coinvolgendo il gruppo dei giovani della parrocchia. Perché è questo che fa  la differenza», sottolinea ancora Storri. E cosi oggi ci si apre a nuove iniziative, come il Centro “Il sorriso di Lollo” – dal nome di un piccolo scomparso a soli sei anni -, sorto in collaborazione con la Neuropsichiatria infantile del San Paolo, e il Sead, il Servizio Adolescenti in difficoltà del Comune, per accompagnare specificamente gli adolescenti. 

Scelte belle e coraggiose, certo, ma che divengono una realtà presente come una ferita aperta, mentre Leonardo racconta: «Non c’è farmaco che possa lenire il mio dolore emotivo da quando, dieci anni fa, ho fatto i conti con la schizofrenia, per cui ho perduto il lavoro che amavo e mi è caduto il mondo addosso». La conseguente ipoteca sulla casa e la morte di due fratelli per un male simile, ha fatto il resto. Eppure Leonardo è andato a Gerusalemme, in montagna, ogni giovedì sera è in San Pietro in Sala: insomma, un miracolo. Come quello che narra Giuseppe, medico e papà di Dario, anche lui coinvolto in tutte le attività dei “iSemprevivi+”: «Sono testimone dello sviluppo di un’idea folle che è divenuta realtà che cura, nel rispetto e con i meravigliosi frutti dell’amicizia tra i più giovani, coloro che, più di ogni altro, non hanno diritto al rispetto, i malati di disagio mentale. Sono qui per ricordare che la solidarietà verso i più deboli non è solo un dovere, ma un impegno di fierezza e di orgoglio che i “iSemprevivi” hanno insegnato anche a tanti noi genitori, che tocchiamo con mano la sofferenza atroce dei nostri figli».

Ed è quasi con un disagio nella voce – lo osserva lui stesso – che prende la parola il Cardinale, convinto che «quella mentale sia la più grave forma di malattia»: «Mi sono domandato da dove venga un’energia così grande, nei giovani che si curano, nei volontari, nei genitori, nei sacerdoti che si occupano di loro. Viene, certo, dalla compassione umana, che alberga nei cuori di tutti gli uomini e che non ha bisogno della fede, ma c’è qualcosa che va oltre…». In gioco, suggerisce l’Arcivescovo, c’è la questione del senso, per cui «questa ferita porta alla superficie, in chi la vive e pur nella pesante fatica», la consapevolezza «che Dio è sempre più grande del sintomo e del male». È il Signore che ci spalanca alla speranza, non lasciandoci rimanere nell’oblio. «Quanti nostri amici, nel loro dolore, diventano testimoni straordinari del perché si ri-inizia ogni giorno e ci insegnano che il corpo è il sacramento e il segno della nostra persona». Un corpo e una mente che riescono a sopravvivere alla «decurtazione della vita fisica e psicologica», se sostenuti proprio perché «la domanda di salute è sempre domanda di salvezza».

«Cosa chiede il paziente? Di durare per sempre. In qualunque religione, è questa l’interrogazione di senso. È, allora, naturale che si risponda a tale domanda in parrocchia, dove si fa l’esperienza della salvezza portata da Gesù nell’Eucaristia, dal Signore risorto, che ha sofferto per tutti. Ciò permette di vivere il quotidiano nel grande abbraccio del Padre che va oltre la morte. Nessuno è solo, ecco la stella della speranza, la virtù bambina che ci apre alla Trinità come a una Casa piena di porte aperte». «Gesù è l’elemento che unifica tutti i fattori di questa bella esperienza della quale, come Arcivescovo, sono molto lieto, perché edifica un elemento di attuazione e di costruzione di amicizia civica e di società buona, di Misericordia. Misericordia che è la persona stessa, amata e viva, di Cristo e non una teoria», conclude il Cardinale. Il richiamo è anche alla recente presentazione della ricerca promossa dalla Cappellania dell’Istituto dei Tumori di Milano, che ha posto in luce la stretta correlazione tra aiuto ai malati, relazione, spiritualità e preghiera.

Sono un segno, anche in questo orizzonte, “iSemprevivi+”, con «la serenità di questa compagnia fatta delle mamme e dei papà» che vivono quotidianamente quell’atteggiamento di cura che fa la vita piena di senso, «perché è un chinarsi sulla persona, rispondendo al male con amore gratuito e praticato, un amore che vuole bene per primo. Fatto strabiliante, perché è un partire con la logica e il pensiero di Cristo». Non a caso, «la medicina, la cura, non è solo clinica, ma è un’arte che usa molte scienze, è un’arte terapeutica che ha bisogno di libertà e di relazione».