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Arcore

Scola: «Essere uomini della speranza, creando nuovi stili di scambio ed economia allargata»

Alla Peg Perego l’Arcivescovo ha presieduto la Veglia diocesana per i lavoratori. Ai molti presenti nello stabilimento ha richiamato la necessità di sapere coinvolgere i giovani

di Annamaria BRACCINI

27 Aprile 2017

«Una Veglia di preghiera alimentata dall’impatto con la realtà». È questo il primo giudizio che il cardinale Scola esprime, salendo sul semplice palco allestito all’interno del grande stabilimento della Peg Perego di Arcore, dove si svolge la celebrazione diocesana dedicata al lavoro nell’imminenza della festa del 1° maggio. Con il titolo «Un lavoro per la vita» la Veglia 2017 intende infatti richiamare tale inscindibile nesso: non a caso l’azienda scelta è, da decenni, leader nella produzione di passeggini e accessoristica dedicata alla prima infanzia.

Evidente che non si possa non pensare alla crisi che attanaglia ormai da un decennio e che continua, anche se qualche segno di rinascita si vede e, comunque, permangono realtà in piena attività come la Peg Perego, che dà lavoro a 450 dipendenti, ma anche situazioni drammatiche, testimoniate dalla rappresentanza di una trentina di lavoratori della vicina “K-Flex” di Roncello, la cui ultima mediazione per salvare 187 posti di lavoro è fallita proprio nella giornata del 26 aprile.

L’intervento del Cardinale

L’Arcivescovo nota subito: «Nel lavoro vi è di mezzo tutto l’io, così come negli affetti e nel riposo». Per questo «nel travaglio della nostra epoca, in cui leggere la crisi cosiddetta economica, dobbiamo essere solidali e pregare per tutti coloro che faticano quotidianamente per il lavoro. Il senso dell’individualismo profondo contemporaneo, molto più grave di quello dell’epoca moderna, perché è una sorta di autismo spirituale, che porta a incapacità di relazione e di contatto».

Il riferimento è alla lettera lasciata da Michele (l’hanno voluta rendere nota i genitori), giovane friulano che ha scelto di uccidersi anche per i tanti “no” ricevuti cercando un’occupazione. A lui va il pensiero e la preghiera di Scola: «Sono stato scioccato da questa lettera lucidamente tragica. Di fronte a queste parole – durante la lettura lo sgomento era dipinto sui volti dei molti partecipanti, ndr – possiamo farci prendere dal ragionamento, senza arrivare a riconoscere che ha fatto ciò che ha fatto perché solidarietà e comunione non sono riusciti a scaldare il suo cuore».

Colpito, il Cardinale, anche dalla scelta dei due brani biblici, Geremia, al capitolo 29, che invita a costruire case, coltivare la terra, procreare, e il Vangelo di Marco, 6: «Soprattutto il Profeta è come se dicesse “Basta lamentele”, allora al popolo in esilio, oggi a noi: si pensi solo al gelo demografico del nostro Paese. Infatti noi tutti, e i cristiani in modo particolare, siamo strutturalmente bisognosi di una speranza affidabile e dobbiamo testimoniare che abbiamo ragioni convincenti e adeguate per sperare».

Dunque, occorre essere «uomini e donne della speranza che vivono il lavoro in senso largo, in un modo che consente di ampliare la ragione economica, facendo spazio alla dimensione del gratuito, concependo le leggi di mercato non come un elemento immodificabile, ma come fatto di cultura, quindi modificabile. Bisogna creare uno stile di scambio che non sia riconducibile solo a parificare i due piatti dello scambio, ma sia luogo di costruzione di una società civile plurale e di comunione cristiana. Una società capace di amicizia civica e di accoglienza equilibrata. Guadagniamo, attraverso la preghiera, tale posizione del cuore, scoprendoci tutti lavoratori, per esempio del Padre che è l’eterno lavoratore e che ci sta costruendo anche in questo momento».

Da qui alcune osservazioni, soprattutto sui giovani e la situazione attuale: «Viviamo la tragedia della disoccupazione giovanile, ma dove sono i giovani stasera? Abbiamo relazioni con loro? Abbiamo uno stile che non sia paternalistico e assistenziale? È una domanda che ci dobbiamo porre con molta serietà se non vogliamo trasformare questo gesto assai bello in qualcosa che si spegne appena conclusosi».

Poi il dato che dice insieme la forza dell’impegno messo in campo dalla Chiesa ambrosiana e la voglia di incrementarlo: «In 12 mesi la Caritas ha ascoltato più di 13 mila persone, poco più della metà italiani e in maggioranza per le difficoltà di lavoro. Voglio anche ricordare che la terza fase del Fondo Famiglia Lavoro («Diamo Lavoro»), incentrata sulla re-immissione o inserimento nel mercato del lavoro delle persone attraverso forme di tirocinio, iniziata sperimentalmente a Monza e Lecco, non avrà più solo carattere di emergenza, ma diventerà forma stabile dell’assistenza e della carità». «La carità unita all’intelligenza genera genialità. Rafforziamo, allora, la nostra speranza, diventando non lamentosi, ma, ove possibile, creativi. Questo non significa non esigere giustizia, uguaglianza, ridistribuzione delle risorse, chiedere i diritti, dando loro giusta fisionomia e rendendoli, così, realisticamente praticabili».

Poi, la recita corale del Padre Nostro, la benedizione e il saluto portato a tutti i presenti, soprattutto, a ciascuno dei lavoratori della “K-Flex”.

La Veglia

Sono stati tanti, pur in una sera fredda e segnata dalla pioggia battente, quanti non hanno voluto mancare alla Veglia. Un’occasione speciale per pregare insieme per il lavoro, per chi lo ha perso, per chi faticosamente arranca su sentieri occupazionali, quasi sempre in salita. In prima fila ci sono i sindaci di Arcore, Rosalba Colombo, e di Vimercate, Francesco Sartini, il vicario episcopale di Zona V (Monza), monsignor Patrizio Garascia, il parroco e decano di Vimercate don Mirko Bellora, diversi sacerdoti. Con loro anche le autorità militari e civili, il Vicario episcopale di settore, monsignor Luca Bressan, presidente di Caritas ambrosiana, accanto al direttore Luciano Gualzetti, il presidente delle Acli di Milano e Monza Brianza Paolo Petracca. Accoglie il Cardinale, il proprietario della Peg Perego Lucio Perego con i familiari e molti i lavoratori dello stabilimento.

Diversi i linguaggi utilizzati e i momenti che caratterizzano la serata, introdotta da don Walter Magnoni, responsabile del Servizio per la Pastorale sociale e il lavoro, che sottolinea la consapevolezza «cresciuta in questi anni sulla crisi» e gli interrogativi che interpellano la Chiesa. Quattro le strade individuate per rispondere: «Accompagnare chi è senza lavoro; farsi promotori di nuove forme di imprenditorialità; vigilare perché il lavoro sia libero, partecipativo solidale e, soprattutto, pregare». «Credere nella Provvidenza significa non cedere allo scetticismo di chi dice che pregare non serve a nulla», conclude don Magnoni, ricordando le figure di don Raffaello Ciccone, scomparso il 30 aprile di due anni fa, dopo una vita dedicata alla Pastorale del lavoro, e Lorenzo Cantù, storica presenza di sindacalista e presidente delle Acli provinciali, morto a Vimercate.

Due video realizzati con le risposte date dai pellegrini a Monza il 25 marzo, a partire dalle parole del Papa scandite, in piazza san Pietro 15 marzo 2017 – «Il lavoro ci dà dignità» – avviano la Veglia, che prosegue con la lettura teatrale da parte di attori professionisti, delle lettere di Michele (il giovane che ha scelto di mettere fine alla sua vita) e di Roberta, calabrese di Cosenza, sottoccupata precaria in una scuola per studenti lavoratori pagata 250 euro al mese. «Oggi fare un figli è un lusso inaudito per cui prende un senso di inadeguatezza che impedisce alle donne anche di essere madri. E, così, ogni tanto la domandina cattiva arriva: “Che senso ha tutto questo?”», scrive dolorosamente Roberta.

Nella seconda parte, intitolata “Immaginazione”, le Letture bibliche e, nella terza, “Cosa possiamo fare?”, ancora un video con Pasquale, pizzaiolo di successo nel centro di Milano che, con un sorriso accoglie i clienti, dando occupazione a una trentina di persone.

Infine, la breve intervista all’economista Davide Maggi. «Il nostro è un passaggio di epoca, non di crisi di qualche aspetto tecnico o dialettico: stiamo passando da un’epoca fordista a una post-fordista in cui cambiano i paradigmi. Pensiamo a tutta la dimensione dell’economia sociale che, per lungo tempo, è stata considerata una “stampella” del mercato e che, invece oggi, si fa oggi cruciale. Qui la persona conta ancora molto». Chiara la sua analisi sul Reddito di Cittadinanza e su cosa fare in futuro: «Tale reddito può essere una risposta, ma più che di ciò credo che si debba parlare di “lavoro di cittadinanza”, altrimenti si finisce in una logica assistenzialista che lascia morire spiritualmente, se non fisicamente, appunto perché si offre un sussidio, ma non si permette la partecipazione alla produzione e all’attività di lavoro. Per realizzare un simile lavoro di cittadinanza, bisogna ripensare la ridistribuzione delle risorse e il loro impiego. La società di mercato ci ha reso individualisti, manca la comunità, ma senza la dimensione relazionale non si fa niente».

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