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Milano

Scola ai nuovi parroci: «Il sacerdote è missione. Abbiate il cuore spalancato»

In Curia rito di investitura per quattordici sacerdoti (sugli 80 in totale nominati quest’anno): «Milioni di battezzati hanno perduto la via di casa: hanno bisogno della nostra testimonianza»

di Annamaria BRACCINI

11 Novembre 2016

«Fare il parroco o il responsabile di Comunità pastorali con un cuore spalancato, chiari nella proposta, decisi nel porre il gesto, ma strutturalmente accoglienti». A dirlo è il cardinale Scola, presiedendo la Celebrazione della Parola per l’immissione nell’ufficio di parroco e l’avvio ufficiale di una Comunità pastorale, e rivolgendosi ai 14 sacerdoti interessati, riuniti nella Cappella arcivescovile. Alla presenza del Vicario generale monsignor Delpini e dei Vicari delle Zone pastorali interessate, si prega, si ascolta la Parola di Dio, si compiono gli atti previsti dal Diritto canonico, tra cui il giuramento di fedeltà. Sono 80, in totale, i nuovi parroci nominati finora quest’anno, con una gran mole di lavoro preparatorio di cui l’Arcivescovo ringrazia i Vicari e soprattutto i parroci che ha davanti per l’occasione.

Dalla lettura del profeta Geremia si avvia l’omelia: «La risposta che il Signore dà a Geremia – “Io sono con te” – deve essere la ragione di questo nuovo inizio di ministero. È molto difficile fare memoria viva, nel quotidiano, di tale costante compagnia di Dio che aspetta fino in fondo il percorso della nostra vita e della nostra libertà, prima di farci completamente giustizia esprimendo il giudizio sulla nostra vita». Quel giudizio che San Paolo attende solo dal Signore e che, quindi, rende liberi da quello espresso dagli altri. «Infatti – nota l’Arcivescovo -, l’esercizio di Ministero che implica governo, guida della comunità, insegnamento e liturgia, esige una libertà interiore molto profonda, perché solo questa è la condizione per cui potremo ricevere la lode da Dio. Non si teme, così, che il compito possa essere carico anche di fatiche, contraddizioni, conflitto e incomprensioni, facili in questo cambiamento di epoca».

Insomma, occorre recuperare ogni mattina “lo stare di Dio con noi”. «Vi raccomando questo atteggiamento interiore, un’interiorità non astratta, ma dell’uomo che è uno di anima e di corpo, come dice il Concilio», scandisce Scola che aggiunge: «La fede non è pura intenzione, ma deve tradursi in azione».

Da qui due indicazioni. «In Gesù noi vediamo una perfetta coincidenza tra ciò che la teologia chiama il Sacerdozio oggettivo, cioè l’agire in persona Christi, e quello soggettivo, ossia essere proporzionati a questo dono straordinario attraverso il dono totale della propria vita. In Gesù persona e missione coincidono. Il Papa, riprendendo ciò, ricorda che lui stesso e i sacerdoti sono “missione”… Su questo dobbiamo riflettere, perché c’è in noi, spesso, una grande frattura tra i due sacerdozi, soggettivo e oggettivo. Qui è l’insidia più grave perché il nostro compito è trasformato in ruolo e la proposta in strategia. Spesso si perde “il per Chi si fa” ciò che facciamo, anche se la generosità è ammirevole: il sacerdozio soggettivo è condizione necessaria, anche se non sufficiente».

Poi, il secondo elemento: «Ricordate che vi inserite in un Presbiterio: l’unità è solida perché è un’unità sacramentale che investe la nostra vita e la nostra mentalità», nota il Cardinale ritornando alla grande prova di Presbiterio unito realizzatasi il 4 novembre in Duomo. Scola cita San Leone Magno e sottolinea: «La dimensione comunionale del nostro ministero è realmente coessenziale al dono totale della vita, tanto è vero che quando il popolo non vede tale comunione, ma estraneità, conflitto di opinioni superiore alla stima che dobbiamo gli uni agli altri, si creano difficoltà. Diventiamo, anche senza volerlo, fattori divisivi, anziché suscitatori della Misericordia di Dio».

Il pensiero è anche per i molti religiosi presenti, ben 6 sui 14 immessi nel nuovo incarico: «Lo trovo molto bello e significativo, perché loro hanno una grande risorsa: la vita comunitaria. È più facile, per il popolo, convincersi della comunione se la vedono vissuta in un coinvolgimento reciproco quotidiano. I religiosi, incarnando il loro carisma universale nella Chiesa particolare, la tengono spalancata all’universalità, all’accoglienza di tutti. Essi devono assumere la fisionomia di quella Diocesi, svolgendo un compito diocesano con la sensibilità del proprio carisma di fondazione. Non si è un francescano parroco, per esempio, ma un parroco che si trova a partecipare del carisma di Francesco. In questo senso, sono del parere che molte cose vadano ripensate nella modalità con cui i religiosi conducono una parrocchia. In ciò dobbiamo aiutarci e sostenerci». «Milioni di battezzati hanno perduto la via di casa: hanno bisogno della nostra testimonianza: occorre fare i parroci e responsabili di Comunità pastorali con un cuore spalancato, chiari nella proposta, decisi nel porre il gesto, ma strutturalmente accoglienti».

Poi, dopo la Professione di fede, il Giuramento di fedeltà nell’assumere l’ufficio da esercitare a nome della Chiesa – nel quale i parroci e responsabili di Comunità pastorali pongono le mani sul Vangelo, invocando l’aiuto del Signore – e la lettura, da parte del Cardinale, del Decreto di Immissione in possesso. Infine, il momento conviviale, al quale non ha voluto mancare lo stesso Arcivescovo.