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Perequazione, così le parrocchie si sostengono a vicenda

Don Luca Violoni, presidente della Commissione incaricata dalla Diocesi, illustra il progetto «L’interesse è la comunione», nato per aiutare le comunità in difficoltà economiche: «Non è assistenzialismo, l’idea è che “se fai un passo, noi ti aiutiamo”»

di Luisa BOVE

6 Aprile 2018

Da tempo in Diocesi si cercavano soluzioni per aiutare le parrocchie più povere o indebitate per mille motivi, guardando alle comunità con maggiori risorse. In una parola: «perequazione». Finalmente l’11 aprile 2016 è nata, con decreto arcivescovile, una Commissione ad hoc che ha messo a punto il progetto «L’interesse è la comunione», pubblicato sulla Rivista diocesana milanese di giugno/luglio 2017. Oggi la Commisssione diocesana per la perequazione tra gli enti ecclesiastici ha un regolamento proprio con doppia finalità, spiega il presidente don Luca Violoni: «Promuovere iniziative volte a far crescere in Diocesi la sensibilità e la mentalità di comunione, anche in relazione ai beni materiali, come segno di autenticità della comunione che noi celebriamo; individuare e promuovere azioni che possano favorire la perequazione tra i beni delle parrocchie». Al momento la Commissione ha presentato il nuovo progetto ai Decani e a qualche Consiglio per gli affari economici.

Come funziona?
In Diocesi ci sono 1100 parrocchie che hanno situazioni molto differenti tra loro, sia come patrimoni, sia come entrate correnti, e in alcuni casi si sono incagliate perché sono sorti problemi nella gestione dei beni o per difficoltà obiettive. L’idea è che ad aiutare la parrocchia in difficoltà non sia un organo esterno alla Diocesi, come una fondazione, ma che siano le parrocchie tra loro a vivere un’esperienza di comunione anche in relazione ai beni.

E la Commissione cosa fa?
Indica i criteri perché questo avvenga e presenta una proposta: la decisione ultima spetta poi al Vicario per gli affari generali e al Vicario di Zona con cui si concorda l’operazione. Noi scegliamo la parrocchia da aiutare e diciamo se ci sono comunità che potrebbero dare un contributo nel Decanato e nella Zona, cioè se ci sono grandi creditori che potrebbero dare una mano. Questo avviene naturalmente nello spirito di comunione, quindi anche della volontarietà: nessuno infatti è obbligato a dare ad altri, però ci sollecitiamo reciprocamente.

Quali sono i criteri per scegliere una parrocchia piuttosto che un’altra?
Primo, la situazione di gravità della parrocchia (debito o entrate correnti, cioè se una parrocchia è povera e non riesce ad arrivare a fine anno, oppure se per colpe non gravi ha accumulato debiti molto forti); secondo, la giustizia, per non premiare azioni sconsiderate (chiedersi se ci sono stati imprevisti o fattori che hanno reso difficile realizzare il progetto); terzo, l’efficacia, perché il nostro sia un intervento che incida realmente e che non irrisorio, altrimenti diventa frustrante per tutti; quarto, l’intervento deve essere a servizio di un progetto pastorale che abbia un futuro, non andiamo a rimediare una situazione in cui non ci sono prospettive a livello pastorale, per questo non è mai una valutazione solo tecnica. Infine c’è il criterio della territorialità: abbiamo iniziato con un progetto e stiamo lavorando ad altri due, a breve vorremmo arrivare a scegliere una parrocchia per ogni Zona pastorale.

I soldi dunque rappresentano donazioni?
Sì, contributi a fondo perso. C’è anche un fondo della Diocesi da cui, in parte, si può attingere, ma il nostro modello è “a rete” e va attivato tra le parrocchie. Se in futuro la parrocchia aiutata sarà creditrice, a sua volta diventerà donatrice, c’è quindi una responsabilità. L’idea è che si crei anche un legame: non si tratta solo di fare un assegno, ma il Consiglio pastorale e degli Affari economici di una parrocchia potranno interessarsi e chiedere se i loro soldi sono stati usati bene.

Al momento qual è il riscontro che avete?
08Il progetto suscita interesse e le persone ci chiedono quando si realizzerà. Attualmente abbiamo un caso a Moncucco, nella Zona pastorale di Melegnano, due sono allo studio a Varese e a Lecco e altri si stanno affacciando. Ci sono casi che si risolvono rapidamente, altri che richiederanno tempi lunghi; ogni anno però faremo un monitoraggio. Il nostro obiettivo è sollecitare la perequazione, ma anche responsabilità. Non è mai un assegno in bianco. L’idea è: «Se fai un passo, noi ti aiutiamo». Non è una logica assistenzialistica, ma un progetto di comunione concreto.

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