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Parla Gianni Bottalico, presidente delle Acli milanesi «LA FLESSIBILITÀ È UN MOMENTO PASSEGGERO CHE DEVE PUNTARE ALLA STABILITÀ»

9 Ottobre 2007

«Noi che ci ispiriamo cristianamente nella lettura della realtà, abbiamo sempre detto di costruire politiche per la famiglia, avendo una visione ampia del Welfare, dove all’interno c’è il tema del lavoro, centrale per uno sviluppo armonico della famiglia. Non può esserci progetto familiare se a monte manca il lavoro. O quando è precario crea instabilità, disagio, fragilità che si ripropongono all’interno della famiglia. Non riesco a immaginare come un padre o una madre che hanno grandi difficoltà sul lavoro nel garantirsi un posto, possano essere sereni e tranquilli per affrontare la vita familiare e la crescita dei figli. Quando manca la prospettiva di futuro diventa tutto più difficile». Quali risposte devono dare le istituzioni? «Rivedere la legge 30, conosciuta come legge Biagi».

di Pino Nardi

Da sempre il lavoro è stato la mission dell’associazione. Oggi le Acli sono impegnate sul fronte della precarietà, dei cosiddetti lavori atipici. Con un’idea ben chiara: la flessibilità è un momento passeggero che deve puntare alla stabilità, è una questione temporanea, non perenne di cui oggi paghiamo le distorsioni. E offre al dibattito proposte di modifica della legge Biagi. Con la responsabilità di laici cristiani sollecitati da una Chiesa ambrosiana attenta ai bisogni di solidarietà, soprattutto di chi a 45 anni si sente già messo ai margini. Ne parliamo con Gianni Bottalico, presidente delle Acli milanesi.

Il fenomeno della precarietà adulta («inutili a 45 anni») quanto è diffusa e quali problemi pone?
E’ un fenomeno giovane che si è evoluto in tempi rapidi. Le nuove forme della contrattualistica e un’esasperazione della flessibilità hanno creato questa realtà. Oggi il problema è che a fianco a questo, un’accentuazione delle crisi aziendali, il ridimensionamento delle grandi aziende hanno messo sul mercato persone che hanno 40-50 anni. Nel momento in cui ci sono queste espulsioni, essendo cambiato il mercato del lavoro, la flessibilità per i giovani diventa anche per gli adulti.

Sfocia dunque nel disagio sociale, ha ripercussioni sulla famiglia e nella società…
E’ il cuore del problema. Noi che ci ispiriamo cristianamente nella lettura della realtà, abbiamo sempre detto di costruire politiche per la famiglia, avendo una visione ampia del Welfare, dove all’interno c’è il tema del lavoro, centrale per uno sviluppo armonico della famiglia. Non può esserci progetto familiare se a monte manca il lavoro. O quando è precario crea instabilità, disagio, fragilità che si ripropongono all’interno della famiglia. Non riesco a immaginare come un padre o una madre che hanno grandi difficoltà sul lavoro nel garantirsi un posto, possano essere sereni e tranquilli per affrontare la vita familiare e la crescita dei figli. Quando manca la prospettiva di futuro diventa tutto più difficile.

Quali risposte devono dare le istituzioni?
Da una parte la rivisitazione della legge 30, conosciuta come legge Biagi. Sono convinto che non è con la sua cancellazione che risolviamo il problema della precarietà. Però bisogna produrre alcune modifiche alla luce di questi tre anni. Innanzitutto un ridimensionamento delle tipologie contrattuali previste (oltre 40), che hanno creato molti problemi e non sono state adottate dal mondo dell’impresa; l’estensione degli ammortizzatori sociali ai lavori atipici, che si è sempre detto ma mai fatto; importante sono gli interventi di formazione professionale necessaria alla riqualificazione dei lavoratori, soprattutto per coloro che vengono espulsi a 40-45 anni. Poi un’adeguata repressione degli abusi applicativi della legge Biagi, perché attraverso essa sono state fatte passare cose che non c’entravano nulla.

Come valuta i provvedimenti contenuti nella Legge finanziaria?
Ho accolto con grande piacere l’iniziativa della Finanziaria 2007, dove si è cominciato a introdurre provvedimenti di diminuzione del costo del lavoro per assunzioni a tempo indeterminato e un aumento dei contributi previdenziali per i contratti atipici. Finalmente si è ritornati ad affermare un principio sacrosanto: il lavoro buono è quello a tempo indeterminato. E’ un punto decisivo. Dobbiamo lavorare e tendere lì: la flessibilità è un momento passeggero che deve puntare alla stabilità, è una questione temporanea, non invece perenne come oggi di cui paghiamo le distorsioni.

Le Acli come si stanno impegnando sul fronte della precarietà?
Da sempre esiste nel nostro sistema un’organizzazione formativa, l’Enaip: abbiamo sempre puntato sulla formazione, oggi ancora più centrale essere formati e aggiornati, perché ognuno deve essere competitivo sul mercato. Ci siamo mossi con una serie di servizi di accompagnamento dei lavoratori atipici, perché siano imprenditori di se stessi (partite Iva, contabilizzazione, ecc.) con prezzi moderati. Sul piano politico con il nostro ultimo documento ci siamo permessi di avanzare proposte concrete di modifica della legge 30 e di garanzia dei lavoratori atipici, aiutando con un assegno chi tra un posto precario e l’altro non lavora. C’è anche la questione della presenza della donna in questo contesto, ancora di più penalizzata, e in età adulta diventa più precaria di prima. Queste proposte le abbiamo consegnate sia alla Commissione lavoro della Camera tramite l’onorevole Farinose, sia al ministro Damiano.

Come valuta il fatto che la comunità ecclesiale milanese ponga l’attenzione su questi temi?
Devo dare atto e sono contento che la Chiesa ambrosiana sia in prima fila in questa (con un termine laico) battaglia, perché è una responsabilità di molti. Una Chiesa così fortemente impegnata e attenta a cogliere le vere novità è di grande importanza e responsabilità per noi laici.