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Parents’ Circle DAL DOLORE NASCE LA PACE

5 Giugno 2008

La pace può scaturire dal dolore. Ciò che conta è impedire che il vortice dell’odio e della vendetta abbia il sopravvento sul tempo del silenzio e della comprensione. Testimoni di ciò sono molti israeliani e palestinesi che, schiacciati dal dolore della perdita di un loro familiare, hanno cercato vie di uscita: su quel cammino si sono incontrati con altre vittime della stessa angoscia e si sono dati la mano per procedere insieme e lasciarsi alle spalle il fardello della vendetta reciproca.

di Rosangela Vegetti

«Siamo popoli che hanno pagato un prezzo altissimo – afferma Ali Abu Awwad, palestinese -, ognuno di noi ha ragioni valide per accusare l’altro». Ma a un certo punto ci si accorge che il ciclo di uccisioni e vendette non può continuare a determinare la vita di una persona.

A partire da queste considerazioni opera in Israele l’associazione Parents’ Circle, nata nel 1995 per iniziativa di Isaac Frankenthal, il cui figlio Arik era stato rapito e ucciso nel 1994 da gruppi di terroristi affiliati ad Hamas. Lo scopo dell’associazione è ridare ragioni di vita e di speranza a quanti, israeliani e palestinesi, hanno provato la sofferenza di una vita spezzata violentemente vicino a loro e l’impossibilità di farsene una ragione.

«Vivevo tranquillamente a Gerusalemme, senza occuparmi di altro all’infuori del mio lavoro e della mia famiglia, quando il 4 settembre 1997 due attentatori suicidi l’hanno infranta – racconta l’israeliano Rami Hannan -. Era giovedì, le tre del pomeriggio: mia figlia di 14 anni rimase uccisa. Finiti i sette giorni di lutto prescritti, con migliaia di persone per casa per le condoglianze, mi sono trovato solo con una decisione da prendere: cosa fare della pena terribile che avevo dentro, da che parte andare. Due le strade possibili: la più ovvia è quella della vendetta e dell’odio, perché quando ti uccidono una figlia così ti ritrovi molto arrabbiato; l’altro modo di reagire è cercare di comprendere le ragioni, le cause che hanno scatenato quanto successo, e domandarsi cosa fare per impedire che quella tragedia abbia a ripetersi. Occorre tempo, non è una decisione facile; io pensavo di tornare semplicemente al mio lavoro e di ripiegarmi su me stesso». Poi Hannan conobbe Isaac Frankenthal e fu conquistato dal suo impegno nell’affrontare il dolore con la forza della comprensione, tanto da rafforzare la propria vita e darle nuovo senso nell’incontro e nella comunicazione con gli altri attraverso l’aiuto di Parents’ Circle.

Il palestinese Adel Misk, medico neurologo laureato a Parma nel 1985, impegnato in un ospedale palestinese a Ramallah e poi in uno israeliano nella Gerusalemme-ovest, testimonia parimenti la sua tragedia: «Ho partecipato attivamente alla prima Intifada – dal 1987 al 1994 (la rivolta dei sassi, non armata come la seconda) – e curato migliaia di vittime. Ho trovato me stesso da una parte: medico, palestinese, pronto ad aiutare la gente. Non mi ero mai pensato dall’altra parte, come persona che ha bisogno di aiuto. Ho trovato me stesso nel ruolo di vittima nel 1993, quando ho perso mio padre, assassinato da un colono israeliano vicino a casa, a Gerusalemme. Sono arrivato sul posto dopo cinque minuti, senza sapere che la vittima a terra era mio padre. Ho aiutato un sacco di gente, ma non ho potuto fare nulla per lui. Ho dovuto decidere tra odio, vendetta, e ingiustizia. “Perché proprio a me, che ho aiutato tanta gente!”, andavo ripetendomi. Ho continuato il mio lavoro; ho cercato di aiutare la polizia nelle indagini per identificare il colpevole, è stato preso, arrestato e condannato. L’ho conosciuto e incontrato tre volte in tribunale; è stato condannato e gli hanno dato quattro anni di carcere, di cui due a piede libero. È cosa normale per un israeliano che uccide un palestinese prendersi non più di quattro anni; al contrario, un palestinese colpevole della morte di un israeliano va all’ergastolo. Ho continuato la mia vita nell’ospedale israeliano con la mia sofferenza. In ogni israeliano che curavo mi sembrava di vedere il responsabile della mia tristezza». Per continuare a vivere, anche per lui fondamentale è stato l’incontro con Parents’ Circle.