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Ricordo

Padre Politi, una vita donata alla missione

Il 23 dicembre, dopo una lunga malattia, si è spento il missionario del Pime grande testimone del difficile cammino della Chiesa in Cina e per otto anni direttore di «Mondo e Missione»

da «Mondo e Missione»

2 Gennaio 2020
Padre Giancarlo Politi

«Evangelizzare per me ha significato ricondurre me e i fratelli al Padre». Tre anni fa – parlando a Mondo e Missione dei suoi cinquant’anni di sacerdozio – aveva consegnato questa bellissima definizione della missione. Ed è l’immagine che rimane di padre Giancarlo Politi, missionario del Pime, direttore della rivista dal 1993 al 2001, ma soprattutto per tanti anni testimone della vita delle comunità cristiane in Cina. Si è spento nella notte tra il 22 e il 23 dicembre nella casa del Pime di Rancio di Lecco, dove si era ritirato due anni fa a causa dell’aggravarsi del morbo di Alzheimer, l’«intrusa» – come chiamava lui la malattia – con cui aveva dovuto fare i conti in questi ultimi anni. I funerali si sono tenuti alla viglia di Natale, sempre a Rancio. Poi la sepoltura al cimitero di Villa Grugana.

Parlare di padre Politi è ripercorrere la storia recente della Cina, di cui questo missionario è stato un grande testimone. Anche se in realtà – raccontava – lui c’era arrivato un po’ per caso. Nato ad Abbiategrasso (Mi) nel 1942, ordinato sacerdote nel 1966, inizialmente era stato destinato all’India, dove aveva anche iniziato a svolgere il suo ministero a Mumbai e perfezionato gli studi teologici a Pune. Ma la difficoltà a ottenere un visto permanente spinse i superiori del Pime a dirottarlo a Hong Kong. Così, nell’allora colonia britannica, padre Politi tra il 1970 e il 1993 si è trovato a vivere il periodo delle grandi trasformazioni della Cina, divenendo ponte con le comunità cristiane locali che avevano mantenuto salda la fede nonostante le durissime prove vissute sotto il regime di Mao Tzetung.

Quando negli anni Ottanta le frontiere iniziarono ad aprirsi padre Politi fu tra i primi ad andare a visitarle. Viaggi segnati da tanti incontri commoventi: «Io sono cattolica, ma è da 39 anni che non incontro un prete. Se mi permette possiamo dire una preghiera insieme?», gli disse per esempio una donna nel 1987 a Zhaoqing, nei luoghi della prima predicazione di Matteo Ricci. Queste storie, insieme alle trasformazioni sociali della Cina di Deng Xiaoping, padre Politi a partire dal 1986 iniziò a farle conoscere da Hong Kong attraverso l’agenzia AsiaNews e il suo supplemento CinaOggi. Fu attraverso questi strumento che la vita delle comunità cristiane nella Cina continentale cominciò a essere conosciuta nel mondo, nella sua complessità, ma anche nelle sue straordinarie testimonianze di fede.

Non fu un caso, allora, il fatto che padre Politi nel giugno 1989 si trovò a essere testimone oculare a Pechino della stagione di piazza Tienanmen, ma anche della repressione brutale che ne seguì. «È un’altra generazione dei più brillanti e intraprendenti cinesi che scompare dalla scena nazionale – scriveva in quelle settimane su Mondo e Missione commentando quanto stava accadendo – impoverendo il già immiserito patrimonio culturale nazionale. Ancora una volta nella storia le forze giovani si sono scontrate con la violenza calcolata e l’inganno di “quelli che hanno esperienza”. La terribile legge di reciproca violenza che investe tutti noi forse mai come oggi ha bisogno di un atto redentivo di bontà e di riconciliazione». Parole che a trent’anni di distanza restano di grandissima attualità.

Nel 1993 venne richiamato in Italia per dirigere il Centro missionario Pime di Milano e in quella veste, qualche mese dopo, assunse la direzione di Mondo e Missione, raccogliendo il testimone da padre Piero Gheddo. «Non possiamo essere fedeli a Dio – scriveva nel suo primo editoriale – se non facendoci carico (per quanto riusciamo) di tutte le Chiese, dei loro destini e dei loro problemi. E non ci si fa carico di niente ignorando la storia ed il presente appena al di là del nostro muro di cinta».

La sua direzione di Mondo e Missione durò fino al 2001 quando venne chiamato in Vaticano per un nuovo servizio all’amata Chiesa in Cina: alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli divenne il punto di riferimento per le questioni cinesi, facendo tesoro della sua esperienza ma anche allacciando nuovi contatti. Quell’incarico ufficiale durò per tre anni a cui seguì poi un altro servizio al Seminario internazionale del Pime di Monza, dove fu il padre spirituale dei futuri missionari.

L’ultimo volto della sua missione sarebbe stato però un altro: la testimonianza del Vangelo nella frontiera della malattia. Tra le pagine più belle del suo apostolato resta infatti una video-intervista realizzata con lui dalla Fondazione Alzheimer Italia. Un dialogo in cui da missionario parlava dell’esperienza che in prima persona lui stesso stava vivendo: «Sei malato ma questo non toglie niente alla tua umanità – raccontava, rivolgendosi agli altri ammalati -. La malattia non ti toglie la capacità di essere padre, madre, figlio. Agli altri malati vorrei dire: non piangetevi addosso. Occorre che uno abbia una bellezza da comunicare, la bellezza che viene dall’esistenza. Le medicine sono soltanto una parte di ciò che interessa. Ciò che conta è se tu sei contento della tua vita».

Ai martiri del Pime in Cina – in quegli stessi mesi del 2016, quando già la malattia si faceva sentire – aveva dedicato il suo ultimo libro, pubblicato da Pimedit e intitolato «Martirio in Cina. Come un vaso di nardo». Ripercorreva le storie dei sei missionari uccisi nell’Henan tra il 1941 e il 1942 e chiudeva l’introduzione con queste parole ben si applicano anche alla sua vita: «Possa il loro dono salire come “profumo di nardo” all’altare di Dio, che chiamandoli ad essere discepoli di Gesù Maestro e Signore li ha fatti pure suoi amici, partecipi anche della Sua gloria».