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Testimonianza

«Nove anni in Zambia mi hanno aiutato ad allargare lo sguardo»

Don Maurizio Oriani, da poco rientrato in Italia dopo un lungo periodo come “fidei donum” a Lusitu, nella valle dello Zambesi: «Il cuore dell’uomo è simile a tutte le latitudini, cercherò di tradurre questa esperienza nella Comunità pastorale di San Giuliano Milanese dove sono destinato»

di don Maurizio ORIANIGià fidei donum in Zambia 

15 Ottobre 2017
Don Maurizio Oriani

Alla fine di luglio, dopo nove anni di vita spesi in Zambia, sono tornato definitivamente in Italia. È per me ancora troppo presto per tirare le somme o per mettere per iscritto alcune riflessioni su questa esperienza così intensa e coinvolgente. Non so neppure se sarà possibile trovare le parole adatte e forse l’elaborazione di quanto ho vissuto negli ultimi nove-dieci anni richiederà parecchio tempo.

Essere prete fidei donum è stato un dono grande che non termina certo con la fine dell’esperienza a Lusitu, parrocchia rurale nella valle dello Zambesi, dove vive il popolo Tonga, una delle tante etnìe che compongono la popolazione zambiana. Si è “doni della fede” perché, senza sceglierlo, si accetta di spendere tanti o pochi anni in mezzo a gente di cui non riesci a parlare decentemente la lingua, di cui non capisci le tradizioni nonostante i tuoi sforzi per farlo, con cui fai un tratto di strada senza la pretesa di insegnare o di condividere chissà cosa, perché, pur con tutta la nostra buona volontà, la nostra “italianità” e le nostre logiche occidentali rimangono ben salde in noi. Eppure, e questo è un dono, vivere con questi nostri fratelli e sorelle ti “costringe” a cambiare alcune prospettive e allora nel cuore, insieme alla nostra esperienza culturale e religiosa che ci ha formato fin dalla giovinezza, si fa spazio un’altra logica e iniziano a farsi strada tanti dubbi, scomodi, ma sicuramente positivi. Impari che il mondo è un po’ più vasto e complesso di quello dei nostri campanili e della nostra società, e ti stupisci (almeno a me capita quasi quotidianamente in questi due mesi di vita italiana) delle ristrette e semplicistiche analisi sociali, politiche ed economiche degli “intellettuali” e dei “potenti” di casa nostra. E delle ricette altrettanto “facili” e riduttive di tanta gente, e forse anche mie, prima dell’esperienza africana.

La gente di Lusitu non è così diversa da noi: anche nel loro cuore c’è desiderio di gioia e speranza di una vita buona e migliore. Ci sono i problemi della vita quotidiana a cui si sommano le innegabili incertezze di chi ogni giorno deve fare i conti con il cibo per la famiglia, con i giovani che non trovano lavoro, con le medicine troppo care, con le tasse scolastiche che consentono di mandare a scuola solo alcuni figli e non altri. Il cuore dell’uomo è simile a tutte le latitudini: sono le condizioni di vita che cambiano e che creano quelle differenze culturali e sociali che spesso suscitano interrogativi e timori.

Ecco, vivere con il popolo Tonga mi ha aiutato ad allargare lo sguardo, a essere meno maestro e un po’ più discepolo di Gesù, cercando, pur tra tante contraddizioni, di testimoniare che l’amore del Signore, quando lo si accoglie e lo si vive nel servizio agli altri, può davvero cambiare la vita. Non so se ha cambiato la mia, sicuramente l’ha resa più attenta ai bisogni degli altri e a coloro che, per diverse vie, stanno cercando un senso ai loro giorni.

Un grande aiuto al mio ministero è stata la presenza di un confratello – don Paolo, ancora in Zambia – e di due giovani laiche fidei donum: Marta e Silvia, l’ultima delle quali vive ancora a Lusitu. La presenza di Marta e Silvia è stata importante per l’intera comunità; esse sono un segno vivente che la Chiesa non è fatta solo di preti e suore che dedicano la loro vita all’annuncio del Vangelo. La famiglia dei figli di Dio è fatta da donne e uomini che decidono di vivere con Gesù e come lui, e per questa ragione cercano di creare ponti con altre sorelle e fratelli, senza guardare al colore della loro pelle o alla loro cultura.

Alla fine di luglio, dopo cinquant’anni di presenza dei fidei donum di Milano, la parrocchia di Lusitu dedicata a San Kizito (il più giovane dei martiri ugandesi) è passata al clero zambiano. È stato un lungo viaggio, fatto di gioie e di sofferenze, di entusiasmanti risultati pastorali e di passi indietro. Siamo giunti alla mèta di una storia iniziata mezzo secolo fa, in un certo senso abbiamo raggiunto lo scopo principale della nostra presenza: far sì che la Chiesa zambiana, sorella di quella di Milano, sia veramente protagonista del suo cammino.

In questo viaggio sono grato a Dio per gli anni trascorsi con la gente di Lusitu; in molti modi mi hanno aiutato a diventare una persona migliore (almeno lo spero!). Sono stato l’ultimo prete italiano della parrocchia, e il primo ad aver visto, con gioia e con rispetto, l’inizio di un nuovo capitolo della storia di Lusitu, una storia che sarà interamente scritta dai nostri fratelli zambiani e che, dopotutto, è nelle mani del Signore, più forti e sicure delle nostre.

A fine ottobre inizierò una nuova avventura a San Giuliano Milanese, in quella che diventerà una nuova Comunità pastorale. Non so ancora che cosa “porterò” dallo Zambia; essere stati fidei donum non significa assolutamente essere migliori dei nostri confratelli che da sempre vivono il loro ministero in diocesi o avere qualche segreto pastorale per coinvolgere più persone. Il fidei donum può diventare un dono per tutta la diocesi quando riesce ad aiutare le persone ad allargare il loro sguardo così da vedere, tutti insieme, senza timori né pregiudizi, un po’ più lontano e cogliere la presenza dello Spirito all’opera nell’umanità intera.

 

 

 

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