Speciale

La Chiesa e la pandemia

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Caravaggio

«Non lasciarsi vincere da solitudine ed egoismo, così si diffonde la dedizione nutrita di carità»

L’omelia dell’Arcivescovo nella Messa concelebrata con i Vescovi lombardi per le vittime della pandemia: «Il Signore scaccia i demoni che spingono al silenzio e alla disperazione. Tra la gente si è diffusa una nuova forma di compassione»

di Annamaria BRACCINI

11 Marzo 2021

«I vescovi di Lombardia hanno condiviso il dolore, l’angoscia e le paure di tanta loro gente. Hanno condiviso l’incertezza, l’inquietudine e, talvolta, quel senso di confusione per ciò che non si riesce a capire. I vescovi di Lombardia hanno rivolto una parola amica alle loro comunità per sostenere il cammino, la fiducia, incoraggiare la preghiera. Oggi ci ritroviamo qui per pregare per i morti come gente che ha fiducia nella risurrezione, perché le famiglie toccate dal dolore trovino conforto nella fede, perché Maria del Fonte aiuti tutti».

Nel giorno che si apre con rinnovati allarmi per il diffondersi della terza ondata della pandemia – tra zone rosse, chiusure, vaccini che non arrivano, soglie psicologiche che fanno male come quella, ormai raggiunta e superata, dei 100 mila morti per Covid in Italia -, a un anno dal primo lockdown, l’Arcivescovo dice così, presiedendo la celebrazione eucaristica in suffragio delle vittime del virus. Presso il Santuario di Santa Maria del Fonte a Caravaggio – luogo simbolo della devozione mariana dell’intera Lombardia, in provincia di Bergamo e in Diocesi di Cremona – la Messa è concelebrata da tutti i Vescovi lombardi, riuniti nella consueta sessione della Conferenza episcopale della nostra Regione ecclesiastica.

Raccogliendo, nel cuore delle terre tra le più colpite del Paese, l’invito dei Presidenti delle Conferenze episcopali europee a pregare durante la Quaresima per le vittime della pandemia (una Messa è stata celebrata il 4 marzo scorso a Roma dal Segretario generale della Cei, monsignor Stefano Russo), l’omelia dell’Arcivescovo – nella sua veste di Metropolita di Lombardia -, è un invito alla speranza, alla fiducia nel Signore e, insieme, una decisa consegna a non lasciarsi vincere dai demoni dell’egoismo, della solitudine, dello scoraggiamento.

«Si aggira sulla nostra terra – sottolinea, infatti, avviando la sua riflessione – una specie di grigiore, un’inclinazione alla rassegnazione, un’inquietudine pervasiva che forse non si dichiara, ma che rende molti guardinghi, sospettosi, inclini a fare di meno piuttosto che di più, a stare soli piuttosto che in compagnia, a sospendere ogni cosa piuttosto che prendere iniziative. Si aggira sulla nostra terra una specie di inespressa persuasione che la battaglia sia persa».

È questo il «demone muto» che toglie la parola anche ai credenti «che non hanno più parole cristiane», ma solo generiche condoglianze e che, di fronte alle lacrime e alla domanda delle domande, “Dov’è il tuo Dio?”, «non sanno che cosa rispondere».

Eppure, proprio «coloro che il virus ha assalito e coloro che ha ucciso, hanno cominciato a parlare e a cantare la vittoria di Gesù sul demone muto proclamando che la morte è stata vinta, che Gesù risorto è il primogenito di coloro che risorgono da morte. E invitano tutti noi – vivi e morti – a unirsi al grande coro della comunione del santi per cantare la gloria di Dio».

E, poi, c’è «il demone ribelle della disperazione, che suggerisce che non valga la pena di servire il Signore; che insinua che la promessa che il Signore fa al suo popolo di rendere felici non sia affidabile». Un demone a cui è facile credere anche solo pensando a questi mesi; ma basterebbe ricordare che «Gesù ha sofferto con coloro che soffrono, ha pianto con coloro che piangono, Gesù è morto con coloro che sono morti. E mentre il demone ribelle suggerisce di non ascoltare la voce del Signore, i figli di Dio hanno ascoltato la voce amica di Gesù e si sono messi in cammino. Così si è diffusa tra la gente una nuova forma di compassione abitata da una fortezza mite e paziente, si è diffusa tra noi una pratica instancabile della dedizione abitata dalla carità, una rinnovata fiducia abitata dalla speranza di partecipare alla morte e risurrezione di Gesù per entrare nella vita di Dio».

Infine, il terzo demone, quello «della divisione e della solitudine che separa, mette gli uni contro gli altri, sequestra le persone e si impegna a renderle inaccessibili». Il pensiero non può che andare alle morti in solitudine, allo sgomento di chi non ha potuto dare l’ultima carezza a un padre, una madre, un fratello; a chi non ha potuto nemmeno partecipare ai funerali. Un demone della solitudine che quasi sempre rende egoisti, spingendo a mettersi gli uni contro gli altri. Eppure, ancora una volta, «Dio ha consolato i morti che non abbiamo potuto consolare, ha abbracciato i nostri cari che non abbiamo potuto abbracciare, ha introdotto in quella comunione che il demone non può spezzare, ci ha radunati nella preghiera e non teme le distanze: noi abbiamo imparato a pregare nella comunione dei Santi, insieme con Maria»

Sono queste «la preghiera, il canto di speranza, la professione di fede celebriamo oggi qui, riconoscendo che, con il dito di Dio, Gesù ha scacciato il demone muto e invita alla speranza, il demone ribelle della disperazione e ci invita alla fraternità, il demone della divisione e ci rende un cuore e un’anima sola».

A un anno esatto dalla preghiera elevata ai piedi della Madonnina, quando l’Arcivescovo salì tra le guglie del Duomo per affidarle Milano, la Lombardia, l’Italia e il mondo intero, l’invocazione finale è ancora a Maria, «nel santuario della gente semplice, che celebra la maternità di Maria e che ha consolato la povera Giannetta e consola tutti noi».

A conclusione, mentre nell’intera regione risuonano le campane di parrocchie e Comunità pastorali chiamate, con questo gesto, a unirsi al suffragio, l’Arcivescovo scende nella cripta dove si conserva il gruppo statuario amato e oggetto di particolare devozione, che ricorda l’apparizione della Madonna alla giovane contadina Giannetta nel 1432: «Preghiamo per tutti i nostri morti, i familiari, i fedeli e i nostri preti in questa terra così duramente colpita in questo anno. Vogliamo anche dire grazie per tutti coloro che si prendono cura dei malati e della gente e per coloro che fanno funzionare le Istituzioni. Invochiamo la protezione di Maria,  la benedizione di Dio».

Campane in tutte le parrocchie

In occasione di questa celebrazione, «all’Arcivescovo è giunta la proposta che in tutte le Parrocchie della Diocesi ci si unisse a questo momento di suffragio con un concerto di campane che inviti alla preghiera – scrive il Vicario generale, monsignor Franco Agnesi, in una comunicazione inviata a parroci e responsabili di Comunità pastorali -. È sembrato opportuno e significativo, proprio in questi giorni che ricordano l’esplosione della pandemia, che tutti potessimo unirci per fare memoria dei defunti e in particolare dei parrocchiani e delle persone care. Pertanto invitiamo a suonare le campane in un momento distinto da quello delle Messe d’orario».