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Vescovi

Nel 2018 un Sinodo sui giovani

Precederà la Gmg di Panama del 2019. Presenta il cammino della Chiesa verso questi importanti appuntamenti, don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei

di Daniele ROCCHI

17 Ottobre 2016

“I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Sarà questo il tema della XV assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi che si terrà nell’ottobre 2018. L’annuncio della Sala Stampa vaticana, il 6 ottobre scorso, giunge a poco più di due mesi dalla Gmg di Cracovia, quando è ancora vivo il ricordo di quei giorni con papa Francesco, e all’inizio, per moltissime diocesi, del nuovo anno pastorale (2016-2017) che così viene quasi ad assumere i tratti di una prima tappa di avvicinamento al Sinodo che, nelle intenzioni del Pontefice, vuole essere «espressione della sollecitudine pastorale della Chiesa verso i giovani», e in continuità con quanto emerso dalle recenti Assemblee sinodali sulla famiglia, «intende accompagnarli nel loro cammino esistenziale verso la maturità affinché, attraverso un processo di discernimento, possano scoprire il loro progetto di vita e realizzarlo con gioia, aprendosi all’incontro con Dio e con gli uomini e partecipando attivamente all’edificazione della Chiesa e della società».

«E adesso?»: se la domanda aveva una sua ragion d’essere dopo un’esperienza come la recente Gmg di Cracovia, ne ha ancora di più oggi davanti a un appuntamento centrale come il Sinodo sui giovani, che precede – è bene ricordarlo – la Gmg di Panama del 2019.

«Siamo felici per questa attenzione di papa Francesco e della Chiesa al mondo giovanile – commenta don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei (Snpg) -. Lavorando con i giovani, sentiamo che ogni gesto di cura nei loro confronti aiuta il lavoro quotidiano di accompagnamento che vive di soddisfazioni ma anche di difficoltà, di fatiche e di silenzi».

La sfida adesso è «riprendere il cammino e il filo della storia» calando, innanzitutto, «la Gmg dentro una serie di altri impegni da riconoscere e da rispettare: la scuola, con i suoi ritmi e i suoi spostamenti quotidiani, il tempo libero – non si può chiedere ai ragazzi di rinunciarvi -, passioni come lo sport, le attività culturali e i legami affettivi e familiari».

Ricominciare, sottolinea don Falabretti, «significa avere uno sguardo sull’ordinario della pastorale cogliendo l’occasione per investire risorse e forze sui giovani» ma per farlo «ci vuole tanta voglia, da parte degli educatori, di leggere, pensare e mettere a frutto la creatività».

Don Falabretti ne è certo: «Il livello del mondo giovanile, anche italiano, non è così basso come qualcuno vuol far pensare. Lo abbiamo visto anche a Cracovia. Sollecitati i giovani danno risposte interessantissime. Ora andiamo avanti a parlare con loro, a incrociarli». C’è un luogo privilegiato dove fare tutto questo. «È la Chiesa locale che – spiega il responsabile del Snpg – deve farsi “casa” o meglio “tenda sempre aperta”, non un “convento chiuso” dove tenere i cosiddetti “nostri ragazzi”. Cracovia ci ha mostrato che i “nostri” non esistono più. Ci sono tanti ragazzi venuti alla Gmg che normalmente non appartengono ai circuiti di nostra conoscenza. I giovani oggi hanno tante appartenenze e la Pastorale giovanile non può essere qualcosa che si aggiunge alla loro vita. Il tempo del gruppo deve diventare la possibilità per il giovane di fare sintesi di tutto il resto, scuola, famiglia, passioni, hobby, di costruirsi una biografia dove mettere insieme vita e Vangelo». Che poi è quello che si propone di approfondire il Sinodo del 2018.

Ma con una avvertenza: «Gli adulti non guardino ai giovani come fossero delle telecamere messe sui droni, come una realtà esterna che li osservi dall’alto e da lontano». Insomma «non si tratta più solo di uscire per andare a incontrare quelli che non ci sono, ma creare nella comunità cristiana qualcosa di significativo e di interessante che dia al giovane il senso di ciò che fa. In perfetto stile missionario. La comunità cristiana deve essere generativa della fede». Qui entra in gioco il dialogo tra le generazioni, giovani e adulti. «Oggi – sottolinea con forza don Falabretti – i giovani dicono agli adulti come stanno vivendo dentro questo mondo. Le nuove generazioni sono rivelatrici di un clima. Sono come i polmoni che ti fanno tossire quando c’è aria cattiva. Il problema non sono i polmoni ma l’aria cattiva. Accompagnare i giovani nel loro cammino vuol dire quindi aiutarli a partecipare attivamente alla costruzione della Chiesa e della società».