Sirio 26-29 marzo 2024
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Milano

Monsignor Delpini: «Schuster ci insegna
a cercare un campo da seminare»

In Duomo, è stata celebrata, la Messa di ricordo e ringraziamento nel sessantesimo anniversario della morte del beato cardinale Alfredo Ildefonso Schuster. Dopo la celebrazione presieduta dal Vicario generale, monsignor Mario Delpini, presso il Grande Museo del Duomo, anche la proiezione del Docufilm realizzato per l’occasione

di Annamaria BRACCINI

29 Agosto 2014

Non è facile nella Milano di oggi, non ancora del tutto ripopolata dai suoi cittadini, ma piena di turisti, pensare a come era la città di un fine agosto di sessant’anni fa, con ritmi e riti diversi, finita da qualche anno la guerra, con tante ferite belliche ancora vive e presenti nei cuori e nei muri.

Era la Milano che non avrebbe più rivisto il suo amato Pastore, Alfredo Ildefonso Schuster, che, dopo quasi un quarto di secolo esatto di guida episcopale, andato per qualche giorno di riposo nel Seminario di Venegono, non sarebbe più tornato nel “suo” Duomo. La stessa Cattedrale dove stasera, nei Vesperi primi della memoria liturgica dell’oggi beato Vescovo, il Vicario generale della Diocesi, monsignor Mario Delpini, ne ha presieduto l’Eucaristia di ricordo e di ringraziamento – concelebrata da quattordici sacerdoti, tra cui il Vescovo ausiliare emerito, monsignor Angelo Mascheroni, l’Arciprete del Duomo, monsignor Gianantonio Borgonovo, il predecessore, monsignor Luigi Manganini, monsignor Giacomo Mellera – nel sessantesimo della morte, avvenuta nelle prime ore del mattino del 30 agosto 1954.

E proprio sulle figura schusteriana, insieme carismatica e amatissima, il Vicario generale ha posto il “cuore” della sua riflessione in chiaro riferimento all’attualità e alle sue difficoltà. Quelle crescenti delle persone che, tra crisi economica e sfiducia nelle istituzioni, fanno sempre più fatica ad avere e a coltivare la speranza in qualcosa e a credere in qualcuno.

Le poche risorse disponibili da parte del versante istituzionale, dal livello internazionale a quello locale, di coloro che hanno la responsabilità pubblica del bene della società, e, così, la sempre minore speranza condivisa e, appunto, la sfiducia, richiamano, infatti, con più forza – se possibile – la centralità del ruolo di chi che, come Schuster, seppe essere “Defensor civitatis”.

Immagine paradigmatica ed esemplare di una Chiesa ambrosiana autorevole, e, dunque, credibile, in tempi tremendi, di odio, di guerra, di sangue, di dittatura e, poi, negli anni più sereni, ma non meno problematici, della rinascita e della ricostruzione.

Che insegnamento, allora, trarne nel terzo millennio? Chiara e duplice la risposta suggerita da monsignor Delpini.

Se da un lato, «ogni società che dimentichi la centralità di Dio e il suo fondarsi su di Lui, è destinata al disfacimento – come si evince dalla Prima Lettura tratta dal Libro del Siracide, in riferimento ad Aronne -, dall’altro, occorre avere il coraggio di una vicinanza “totale” alla gente, specie alla più sofferente».

Insomma, quelle «dedizione pastorale e santità personale che furono peculiari di Schuster», anche davanti alle istituzioni, di fronte alle quali «il Beato non ha una ricetta predefinita, non si mette a costruire delle realtà parallele, non pretende di aver una metodologia da applicare dappertutto», ma basa la sua vita e la missione ecclesiale su due punti-cardine fondamentali per il suo e il nostro tempo.

«Il primo è che una società senza Dio rischia la disgregazione, appunto, e che occorre una prossimità al popolo dando a ciascuno la persuasione di essere importanti perché figli di Dio».

Come indica il Vangelo di Giovanni, appena ascoltato dai tantissimi fedeli presenti, «è come se per bocca di questo Vescovo beato, il Signore ci dicesse di non avere paura e non lo dicesse solo a coloro che rivestono una ruolo importante e di rilevo nella Chiesa, ma anche ai semplici discepoli che siamo tutti noi», sottolinea, infatti, Delpini.

Infine l’auspicio: chiediamo al beato Schuster di leggere il tempo in cui viviamo, non «come un groviglio antipatico dove cercare un angolino per stare tranquilli, ma come un campo da seminare».

E questo fu, infatti, il primo insegnamento pubblico lasciatoci dal “monaco prestato a Milano” – al quale, peraltro, pochi per una sua presunta “esclusiva” vocazione monastica, erano stati pronti a dare credito all’inizio dell’episcopato – e il suo impegno privilegiato, secondo l’“Ora et la labora” dell’amata Regola benedettina.

Il volto sereno, il gesto benedicente, che ancora è nella memoria di chi lo conobbe e rimane impresso nelle immagini che lo ritraggono, sono il suo emblema, anche tra le navate della Cattedrale, fino all’altare dove si conservano e si venerano i resti mortali del Cardinale, e dove, al termine della Messa votiva ci si è recati per una partecipatissima preghiera e benedizione finale. 

Poi, presso la bella Sala delle Colonne, nel nuovo Grande Museo del Duomo, la proiezione del film “Alfredo Ildefonso Schuster: pastore della Chiesa Ambrosiana”, realizzato dal regista Marco Finola, ha illuminato ancora di più, tra interviste, immagini d’epoca, ricostruzioni storiche, la personalità schusteriana. Docufilm realizzato per questo sessantesimo anniversario e introdotto dal professor Cesare Ignazio Grampa che ha proposto una personale testimonianza dell’opera pastorale del beato Schuster, nell’affollata serata conclusa sempre da monsignor Delpini e dall’arciprete del Duomo, monsignor Borgonovo.