Percorsi ecclesiali

L’Ottobre missionario straordinario

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Intervista

«Mettersi in gioco senza troppe paure»

Intervista a don Paolo Pupillo, rientrato dopo quasi 11 anni dallo Zambia dove, da “fidei donum”, ha vissuto un’esperienza che ha segnato anche il suo modo di vivere il ministero di prete

di Luisa BOVE

30 Settembre 2019
Don Paolo Pupillo

Dopo quasi 11 anni di missione in Zambia, nel gennaio scorso don Paolo Pupillo è rientrato in Diocesi. È stato nominato parroco in aprile, ma l’ingresso ufficiale è avvenuto due settimane fa. «A Rodano ho due comunità e sono solo – spiega -. Per questo ho avvisato l’Ufficio missionario che ero disposto ad accogliere un prete giunto in Italia a studiare. Ora è arrivato padre Jerom, nigeriano, che starà con me un paio d’anni».

Quando è partito per la missione?
Sono partito nel 2008 e ho trascorso un periodo di formazione a Mazabuka, poi sono stato 3 anni a Siavonga, 4 e mezzo a Lusito e l’ultimo periodo ancora a Mazabuka. Il mandato dei preti fidei donum è quello di riuscire a riconsegnare la parrocchia ai preti locali: deve essere pronta dal punto di vista delle strutture sia murarie, sia umane (Consiglio pastorale, gruppi, catechisti…) e raggiungere una sostenibilità economica».

E così è stato?
Siavonga è nata con i fidei donum milanesi e dopo 38 anni l’abbiamo consegnata al clero locale. Lusito, che ho lasciata alla fine del 2016, è stata data ai preti africani nel 2017, dopo 50 anni di presenza ambrosiana, anche se già c’erano preti locali. Mazabuka è passata da 60 mila a 130 mila abitanti: la seconda parrocchia che si è staccata è nata con me. Abbiamo iniziato a radunarci, costruendo le strutture umane e pensando a come organizzarla, mettendo a frutto l’esperienza pastorale di Milano in Zambia, come ha chiesto lo stesso Vescovo di Monze. Quando la casa parrocchiale è stata completata ho passato la mano e ora altri preti ambrosiani hanno l’incarico di proseguire.

Questa esperienza come ha segnato la sua vita di prete?
Dal punto di vista pastorale con una conoscenza e responsabilizzazione del laicato molto più alta. Quello che vedo a Milano è che, nonostante l’invecchiamento dei preti, la Chiesa è troppo clericalizzata, abbiamo paura di lasciare il “pallino” nelle mani della gente. Racconto un episodio che mi è appena capitato. Nei giorni scorsi dovevo insediarmi ufficialmente in parrocchia e mi hanno detto che si doveva organizzare la festa. Allora ho detto: «Fatela». E loro: «Non ci aiuti?». Ho risposto: «No. Dovete farla voi a me, non io a me stesso». Quindi hanno creato un comitato per organizzarla e credo che se fossi stato presente anch’io non sarebbe venuta così bene. Lasciare la responsabilità ai laici e farli lavorare per la loro parte è possibile e quindi doveroso.

Consiglierebbe ad altri preti di partire fidei donum?
Assolutamente sì. Bisogna fare due operazioni. Primo, provare a mettersi in gioco, liberandosi da tutto ciò che fa da ostacolo: lingua, cultura, etnia, condizioni ambientali. Secondo, liberarsi dal pensare che si sa già tutto e non si ha nulla da imparare. Si pensa sempre di dover dare agli altri quello che si ha, invece come al solito ciò che si riceve è molto di più di quello che si dà. Non dal punto di vista materiale, ma umano. Posso fare un esempio che mi ha toccato la vita?

Prego…
All’inizio del 2009, quando sono diventato parroco di Siavonga, ho avuto un incidente serio: due persone sono morte e io ero alla guida. Questo ha sconvolto me e le persone che avevo attorno, al punto che i miei confratelli italiani mi hanno suggerito di tornare a casa e di lasciar perdere. Io ero al vaglio di una decisone di vita molto importante, poi ho scelto di restare perché ho trovato subito una comunità che pur non conoscendomi, perché ero lì da poco, mi si è stretta attorno. Solo per il fatto che ero il loro parroco, mi hanno sostenuto. Così mi sono detto: «Se mi stanno vicino, io rimango». Queste esperienze sono uniche e forti, ti fanno capire quanto la gente tiene a te come prete e alla Chiesa.

Una bella lezione…
È questa passione che tante volte vorrei avesse il nostro clero milanese, quello anziano, ma soprattutto più giovane. Trovare oggi chiese e oratori vuoti, comunità troppo vecchie, non deve rassegnare, ma dobbiamo interrogarci e cercare soluzioni con astuzia e strategie nuove. E se le soluzioni sono impegnarci di più, lasciare la burocrazia ad altri e occuparci più di anime, famiglie e giovani, facciamolo. Abbiamo paura che ci rubino dieci euro dai nostri conti correnti, quindi temiamo di lasciare la gestione della contabilità ai laici, e poi non ci accorgiamo di aver perso dieci anime.