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Riconoscimento

Melesi: «Farsi carico della vita dell’altro per capirlo e riconquistare la libertà»

Per trent’anni Cappellano del carcere di San Vittore, è stato insignito della laurea “honoris causa” in Scienza della comunicazione sociale dall’Università Pontificia Salesiana di Roma

di Renato BUTERA Direttore Ufficio Stampa UPS - Roma

30 Maggio 2013

Che don Luigi Melesi fosse una persona speciale, di quelle il cui nome rievoca lo stile educativo salesiano, quello che si rifà al più genuino sistema preventivo di Don Bosco, era risaputo quasi a livello aneddotico. Ma dopo averlo sentito parlare, raccontare le sue gesta di “eroe”, ma con la semplicità dell’uomo, del prete e del salesiano dedito agli ultimi e ai più bisognosi, di quei bisognosi più reietti come possono essere i carcerati, gli aneddoti diventano storie che affascinano e riempiono, che interrogano e provocano.

Col suo fare e dire, don Luigi è un vero incantatore di serpenti, ma nel senso buono e profondo della metafora, perché ti coglie e ti affascina, ti porta dentro un mondo particolare e ti fa comprendere cos’è la debolezza umana, ti dice come l’angoscia è il veleno della vita, come la speranza uccisa dalle sbarre ti rende l’uomo quello che effettivamente non è perché è stata oscurata la sua dignità. Gli episodi che racconta si infilano uno dietro l’altro come in una corona, quella delle sue esperienze, in cui e con cui fare l’elogio della misericordia. Tantissimi carcerati l’hanno riconosciuta. A essi si è riaperto, grazie alle sue parole, un pezzo di cielo che ha riconsegnato loro la dignità che avevano persa.

Perché don Luigi non ha timore di dichiarare di essersi schierato dalla “parte del colpevole”, come ha affermato nel suo intervento a conclusione dell’Atto Accademico in cui l’Università Pontificia Salesiana di Roma, in occasione della festa di Maria Ausiliatrice del 24 maggio scorso, ha riconosciuto in lui le doti del comunicatore ed educatore, evangelizzatore salesiano di pregiata fattura, conferendogli il titolo di dottore Honoris Causa in Scienza della comunicazione sociale per la sua opera educativa e di recupero attraverso il teatro.

«Dal 1978 al 2008 – recita il decreto di conferimento del titolo – ha svolto il compito di cappellano presso il carcere milanese di San Vittore ascoltando, consolando e dando fiducia a donne e uomini senza speranza». Don Melesi ha saputo sempre offrire a tutti ascolto e consolazione «impegnandosi a combattere con vigore ogni forma di ingiustizia», e in conformità piena con lo stile e lo spirito di Don Bosco che riconosceva anche nel peggiore dei delinquenti un punto su cui far leva per farne rinvenire la parte buona e avviare il processo di recupero. Al centro della sua azione pastorale l’uomo e mai il reato, convinto che «una persona, per diventare buona, deve sentirsi amata».

L’Aula Paolo VI dell’Università Salesiana in cui si è svolta la cerimonia raccoglieva la comunità accademica, gli amici e alcuni ospiti illustri che hanno voluto rendere omaggio al “Prete da galera”, così come recita il titolo di un libro scritto su di lui. Tra questi l’ex Ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick, Adele Moro, figlia dello statista democristiano ucciso dalle Brigate Rosse, l’ex direttore del carcere di San Vittore Luigi Pagano. E la sorella Tarcisia, che lo accompagna amorevolmente dappertutto da quando don Luigi è stato colto da una malattia che ne ha indebolito il fisico ma non lo spirito. E tanti ex carcerati amici suoi fedelissimi che hanno fondato una associazione di volontariato per l’assistenza degli ex- detenuti e delle loro famiglie.

A fare gli onori di casa il Rettore dell’UPS, don Carlo Nanni, e il decano della Facoltà di comunicazione, don Mauro Mantovani, mentre don Francesco Cereda, consigliere generale dei Salesiani di Don Bosco per la formazione, a nome del Rettor Maggiore e Gran Cancelliere dell’UPS, don Pascual Chávez, conferiva il titolo di dottore. Lo stesso titolo che l’Università Salesiana aveva consegnato nel gennaio del 1989 all’allora Arcivescovo di Milano, cardinale Carlo Maria Martini, spesso richiamato da don Melesi nel suo intervento con affettuosa e riconoscente amicizia. Fu lui a convincerlo a interessarsi dei carcerati di San Vittore e tra loro nacque una straordinaria amicizia e collaborazione. Mai il cardinale Martini fece a meno di don Melesi, e don Melesi sempre poté contare sull’appoggio e l’incoraggiamento del pastore della Chiesa milanese.

Come quando, facendo leva sul “linguaggio del cuore”, indirizzò dalla strada della violenza a quella della pacificazione la vita di molti che nelle armi avevano creduto di trovare la forza per le loro ragioni, così come si legge nelle testimonianze di numerosi detenuti, tra i quali anche ex-terroristi, alcune lette durante l’Atto Accademico. In quel triste periodo della storia italiana passato alla storia come gli “anni di piombo”, fu don Melesi a convincere i brigatisti a consegnare le armi facendole recapitare alla porta dell’Arcivescovado, sventando così più di un attentato.

«Che cosa ho fatto?», spiega don Luigi senza mai fare riferimento a se stesso in prima persona, ma mettendo avanti gli altri con straordinaria naturalezza. Gli altri sono Gesù, Don Bosco, il cardinale Martini, i suoi amici e gli stessi carcerati che lo hanno aiutato a capire e a capirli. Dice don Luigi: «Don Bosco ricordava ai Salesiani, citando gli Atti degli Apostoli, che Gesù prima faceva poi insegnava. Subito mi sono messo dalla parte del colpevole. Anche in questo Gesù Maestro ce ne da’ l’esempio. Non è infatti possibile aiutare una persona a cambiare la sua vita in meglio, se non ci si mette dalla sua parte, se non si prende a carico la sua vita e la sua storia. Solo così lo si può capire interamente, si può collaborare con lui a diagnosticare i mali che lo affliggono, e a trovare insieme i rimedi, per aiutarlo a riconquistare la vera libertà». È l’amorevolezza di Don Bosco e del suo Sistema Preventivo che si completa, arricchendosi, con la Ragione e la Religione

Questa filosofia ha guadagnato tutti, compresi tantissimi studenti che, colpiti dalla testimonianza di vita di questo «grande uomo semplice e cordiale», hanno voluto che sulla copia del fascicoletto in cui è pubblicata un’intervista da lui rilasciata anni fa a un giornalista, ci fosse impresso il suo autografo. Questo è don Luigi Melesi, il prete degli ultimi.

La biografia

Luigi Melesi è nato a Cortenova (Lecco) il 4 gennaio 1933. Entra a far parte della congregazione salesiana nel 1944. Studia Teologia a Torino e nel 1960 viene ordinato sacerdote. Due anni dopo (1962) si laurea a Milano in Lettere e nel ‘71 ottiene l’abilitazione per l’insegnamento delle materie letterarie. La prima esperienza di contatto con il mondo del carcere e di impegno educativo con i ragazzi difficili avviene al riformatorio “Ferrante Aporti” di Torino, ancora studente al teologato salesiano di Torino-Crocetta. Primi passi da insegnante e animatore spirituale presso la casa di rieducazione di Arese (Milano), dove rimane sette anni a contatto con i 250 ragazzi inviati dai tribunali minorili italiani. Sua caratteristica costante è la disponibilità: non si limita al contatto con i ragazzi in difficoltà ma instaura rapporti con le famiglie, dove spesso sta il problema vero del malessere di questi giovani. Così farà, più avanti, anche con i detenuti più adulti. Nel 1967, insieme a don Ugo De Censi, crea l’Operazione Mato Grosso, movimento impegnato per il Terzo Mondo sulla linea della Populorum progressio. Poi l’esperienza di cappellano presso il carcere milanese di San Vittore.