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Quarant’anni fa Martini a Milano

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Intervista

«Martini, il mio Arcivescovo segreto»

Don Gregorio Valerio, ultimo segretario del Cardinale, ha pubblicato un’antologia dei suoi diari. Ne emerge il profilo inedito e personale, visto da dietro le quinte, di una figura che ancora oggi ha molto da dire a tutti, credenti e non.

di Pino NARDIda «Il Segno» - novembre 2019

30 Gennaio 2020
Don Gregorio Valerio (al centro della foto) accompagna il cardinale Carlo Maria Martini in una visita sul territorio

«Vedrei oggi il cardinale Martini come una sentinella che suona l’allarme e indica la strada da percorrere: un ritorno radicale alla Parola che in fondo è l’ascolto di Dio.  Altrimenti per la Chiesa c’è l’appiattimento alla mentalità corrente». Don Gregorio Valerio rilancia con passione la figura dell’indimenticabile Arcivescovo, “svelando” un Martini inedito, personale, avendo collaborato a stretto contatto con lui come segretario negli ultimi sei anni di episcopato a Milano, dal 1996 al 2002. Lo fa con la pubblicazione dei suoi diari personali in un corposo volume del Centro ambrosiano, Il mio Martini segreto (608 pagine, 29 euro).  

Don Valerio, come nasce l’idea di scrivere un diario?
Innanzitutto va chiarito che si tratta di appunti scritti per me. È un diario personale: ogni sera – o quasi – scrivevo le mie impressioni, la cronaca, l’insegnamento, le esperienze della giornata con il cardinale Martini. Dunque non è stato scritto per essere pubblicato. Questa era un’abitudine che ha un’origine un po’ strana. Nell’ultimo incontro con i chierici – io ero in seconda Teologia a Venegono – prima di partire per il Conclave che l’avrebbe eletto Papa, il cardinale Montini ci disse tante cose (il momento della Chiesa, il suo rapporto col Papa, anche le previsioni per il futuro Pontefice), ma aveva aggiunto una raccomandazione: stiamo vivendo momenti eccezionali ed è bello avere un diario su cui riportare le impressioni che questi avvenimenti suscitano nel cuore. Ecco, da lì ho cominciato. Poi, stando di fianco al Cardinale, invece la cosa è diventata spontanea: mettere per iscritto esperienze con questa persona eccezionale che è stata Martini, di cui diventavo in un certo senso partecipe e testimone.

Perché ha pensato di pubblicarli in questo libro?
Il mio diario è diventato piuttosto voluminoso, oltre 1.200 pagine. L’ho diviso per anno e l’ho rilegato in sei volumi dattiloscritti. Ogni tanto andavo a rileggerli, in maniera sempre più interessante. Ultimamente Maria Teresa Antognazza l’ha visto e letto e mi ha proposto di pubblicarlo. Quella grande mole grazie a lei è diventata l’antologia contenuta nel volume.

Da questi diari emerge un Martini inedito, visto dall’interno, dietro le quinte, insomma nella quotidianità…
È il Martini persona, quello che dice battute, quello che affronta la situazione concreta, che si trova davanti all’ammalato. Di questo Martini in genere non si parla. Ci sono libri sulle sue grandi realizzazioni, sul suo pensiero, ma non che aiutino a guardarlo negli occhi per conoscere ed entrare in simpatia con Martini. Con questo libro vorrei partecipare agli altri la mia fortuna di aver vissuto a fianco a lui, smentendo l’immagine di un personaggio un po’ lontano.

Un Martini che si occupa e si interessa dalla piccola parrocchia ai rapporti con i grandi personaggi. Quale figura emerge?
Il Martini importante già lo si conosce: dalle conferenze, agli incontri. Forse il Martini che si conosce meno è quando piange di fronte a una certa situazione o che trema per esempio quando va al Galeazzi per la camera iperbarica; oppure che tiene per mano un uomo che ormai non capisce più niente, mentre la moglie è lì vicino che gli parla affettuosamente. Nel diario racconto queste vicinanze.

Un Martini inedito anche in altri aneddoti…
Sì. Come quella volta che, recandosi nella parrocchia di Cinisello Balsamo, ha voluto prima andare in casa della famiglia della studentessa uccisa dal suo fidanzato. Sono tanti gli esempi di vicinanza e cordialità. Comunque la sua caratteristica è stata sempre quella di un incontro con la gente, l’attenzione e l’atteggiamento costruttivo. In occasione della Visita pastorale voleva sempre sapere dove andava, mi raccomandava di procurargli, attraverso il parroco e soprattutto il Vicario di Zona, la relazione sulla situazione, in modo da dire cose concrete che andavano bene per quella comunità. Spesso nelle relazioni di qualche parroco c’era una presentazione piuttosto catastrofica della situazione: «Questa è una comunità che non fa questo, non fa quest’altro…». Io ero curioso di vedere come il Cardinale si comportava in questi casi: riprendeva le osservazioni dei parroci, non in chiave di condanna e di denuncia, ma costruttiva. Una lettura propositiva di cose da fare con un atteggiamento ottimista.

In base alla sua esperienza con lui, cosa dice Martini oggi?
Trovo molto vero il cosiddetto “testamento di Martini”, quell’intervista pubblicata sul Corriere il giorno dopo la sua morte, dove paragona la Chiesa a brace, ma sepolta dalla cenere. A differenza del suo solito comportamento da Vescovo, lo vedrei quasi allarmato nei confronti della Chiesa di oggi: bisogna che la Chiesa si svegli, dice che è arretrata di 200 anni, quella polvere va buttata via. È sorprendente anche il suo riferimento ai giovani, allo spirito giovanile, per superare la troppa esteriorità e burocrazia. Vedrei un Martini piuttosto acceso di amore verso la Chiesa che suona però il campanello d’allarme. Lui aveva come punto di riferimento san Gregorio Magno (da lui il motto Pro veritate adversa diligere). Usando un’altra immagine di san Gregorio, vedrei Martini come sentinella che suona l’allarme, perché il nemico si avvicina. Lo vedo come uno che indica la strada della Chiesa nella Parola di Dio. L’ha detto tante volte: altrimenti la Chiesa si adegua alla mentalità di oggi, non ha più niente da fare, non è più sale, non è più luce. Invece il riferimento fondante sulla Parola di Dio è il futuro della Chiesa.

 

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