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Riflessione

“Lumen Fidei”: un invito alla lettura

Dall’Azione Cattolica Ambrosiana un articolato commento alla prima enciclica di Papa Francesco, che ha raccolto l’eredità del magistero di Benedetto XVI

di Valentina SONCINI e Chiara ZAMBON Azione Cattolica Ambrosiana

11 Settembre 2013
An edition of Pope Francis' first encyclical entitled "Lumen Fidei" is displayed during the press conference for the release of the encyclical on July 5, 2013 at the Vatican.  AFP PHOTO / GABRIEL BOUYS

Papa Francesco ha scritto la sua prima enciclica Lumen Fidei raccogliendo una preziosa eredità di Benedetto XVI. Questo testo si iscrive nel percorso che prese le mosse dalla Dei Filius (Vaticano I), giunse fino alla Dei Verbum e infine all’enciclica Fides et Ratio del 1998. Dopo un cammino impegnato soprattutto a mostrare la buona relazione tra fede e ragione, finalmente Lumen fidei sembra superare i pregiudizi culturali moderni e postmoderni per rilanciare una concezione di fede ampia, capace di includere il rapporto con la ragione, l’esigente ricerca della verità, l’imprescindibile legame con l’amore e l’intreccio fecondo con la facoltà umana dell’ascoltare e del vedere, quasi a ribadire che veramente l’integrità dell’umano è in gioco per il credente, senza sconti e senza “mutilazioni”.

Ripercorriamo la Lumen fidei attraverso alcune domande che ci pone, per condurre il lettore alla riscoperta grata del “non ovvio” della fede e per stimolare ciascuno a inoltrarsi in forza di questo inestimabile dono nel “campo che è il mondo”: quello interiore ancor non credente e quello esteriore composto da una pluralità di posizioni.

Una luce illusoria? (§2)

Nel cuore dell’uomo in qualche modo coesistono sempre fede e sospetto, diffidenza e desiderio di affidarsi a qualcuno al di fuori di sé, tanto da convincersi dell’illusorietà della fede e dell’impossibilità di poter far conto su qualcosa di veramente affidabile. Questa situazione di sospensione conduce nel labirintico e pluriforme contesto odierno secolarizzato e precario, che rende spesso fragili. Molti giovani si ritrovano inquieti e insoddisfatti davanti alle spiegazioni parziali dell’esistente, davanti a logiche che vengono spesso assolutizzate (scienza, realtà multimediale, relativismo etico…), ma non dischiudono le verità grandi e originarie dell’uomo. Questa situazione culturale investe anche il mondo adulto, che pur provenendo da un’epoca che ha con più forza vissuto e condiviso una visione cristiana della vita, non può dare per acquisita una certa familiarità con Gesù.

A fronte di tale situazione la fede non può essere ridotta a un soggettivismo consolatorio: la fede sollecita uno sguardo profondo aperto a quell’oggettiva storia di salvezza che precede tutti e che allo stesso tempo è a ciascuno contemporanea.

«Da dove viene la sua luce potente che consente
di illuminare il cammino di una vita feconda, piena di futuro?» (§7)

Il racconto della storia della salvezza, che si snoda da Abramo fino ai giorni nostri, ha il suo nucleo incandescente nella storia di Gesù. In Lui si rivela definitivamente il volto di un Dio veramente affidabile perché Gesù muore per amore dell’uomo, il che ne dice già la gratuità, ma oltre a ciò Dio resuscita Gesù da morte. Il Dio di Gesù Cristo si rivela doppiamente affidabile perché fa vivere per sempre chi muore per amore. Questo “non ovvio” della fede, questo forte cristocentrismo riguadagnato con il Concilio Vaticano II, invita a educarsi ed educare a uno sguardo che si conformi a quello di Gesù. È Lui infatti che indica la verità sull’uomo e su Dio: nella relazione con Cristo si conosce, cioè si fa esperienza, del vero volto dell’uomo e del vero volto di Dio Padre: La fede, non solo guarda a Gesù, ma guarda dal punto di vista di Gesù, con i suoi occhi: è una partecipazione al suo modo di vedere (§18). Proprio questa prospettiva “rovesciata” – che si impara nell’amore e nel rimanere giorno dopo giorno in Lui – fa guardare alla realtà non partendo da se stessi, ma dallo sguardo di Dio in Gesù fino a conformarsi a Lui, per grazia: solo così l’uomo potrà cambiare la realtà, i rapporti, il futuro!

Credere allora significa vivere al modo di Gesù e imparare da Lui la “grammatica dell’umano”, assumere l’incarnazione di Gesù per abitare la storia come “luogo teologico” senza mediocrità, senza timidezza, senza ingenuità e irenismi, a favore di tutti, anche a costo di solitudine e persecuzione.

Come è possibile attingere al “vero Gesù”
attraverso i secoli? (§38)

Al termine del cap. I dell’enciclica (§21,22), Papa Francesco indica il passaggio essenziale tra un’esistenza credente, cioè trasformata dal dono dello Spirito che conduce a dilatarsi in Altro, e un’esistenza per questo “ecclesiale”. Questa dimensione viene sviluppata soprattutto al terzo capitolo “Vi trasmetto quello che ho ricevuto”, nel quale sono raccolti aspetti fondamentali del tesoro di memoria che la Chiesa trasmette generando come una madre sempre nuovi credenti. Scoprire o riscoprire oggi per giovani e adulti credenti la maternità della Chiesa è decisivo: nessuno crede per merito proprio, in forza di atti autonomi e solitari, ma nasce e cresce dentro il solco di una Tradizione vissuta, praticata, offerta.

In una fede ecclesiale matura si trovano dunque le condizioni per una comprensione e trasmissione dell’unità e integrità di una fede pluriforme e ricca, ma radicata nell’unità della comunione che precede sempre. La vita credente che si schiude al noi ecclesiale se ne sente poi parte viva, riconoscente e corresponsabile della sua stessa qualità.

Saremo noi a non confessare Dio nella nostra vita pubblica, a non proporre
la grandezza della vita comune che egli rende possibile? (§55)

È manifesto che ogni dimensione della vita è affamata di luce, di novità, di speranza, ma dove attingere? Dove cercare un fondamento per il bene comune? Il Dio affidabile dona agli uomini una città affidabile!(§50) La fede in Lui rende capaci di generare, rinsaldare i rapporti tra gli uomini, sottrarli alla paura, renderli veramente uniti tra loro. Il Dio affidabile, infatti, è già in mezzo alle città e cerca alleati che si spendano per promuovere la dignità e la bellezza delle relazioni, la fiducia e la speranza lì dove già vivono, anche attraverso sofferenze, fasi di sconforto, prove dolorose. Come ci ricorda LF57, la presenza concreta e l’amore potente del Risorto, che sempre coinvolge e sempre supera ciascun uomo, sa trasformare il mondo e illuminare il tempo.

Una fede non fragile, ma curata nella sua integrità e pienezza si fa creativa e credibile testimonianza pubblica nel nostro Paese, antidoto a ogni separazione opportunistica tra etica privata ed etica pubblica, segno di speranza in ogni situazione, facendo maturare stili di vita fedeli al Vangelo in questo tempo e per questo rispettosi della dignità di ogni uomo.