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13 maggio

L’Arcivescovo in visita
ai poveri di fratel Ettore

A Casa Betania a Seveso il cardinale Scola celebra una messa per i volontari e gli ospiti della comunità e dell'Opera fondata dal sacerdote camilliano, oggi guidata da suor Teresa Martino

di Luisa BOVE

11 Maggio 2014

È con «tanta gioia e commozione» che la comunità di Casa Betania, fondata da fratel Ettore a Seveso, attende la visita dell’Arcivescovo. A dirlo è la responsabile, suor Teresa Martino, che oggi guida la grande Opera realizzata dal prete camilliano per assistere i poveri. Martedì 13 maggio alle 16.30 il cardinale Angelo Scola celebrerà la Messa con gli ospiti e i volontari, poi la comunità gli renderà omaggio mettendo in scena lo spettacolo su fratel Ettore che due anni fa è stato presentato al Meeting di Rimini. La sua presenza, continua la religiosa, «è un bel segno nei confronti di fratel Ettore e dice l’importanza del nostro cammino all’interno della Chiesa». La data non è casuale, la visita infatti coincide con la festa della Madonna di Fatima, cui è dedicata la chiesa di Casa Betania: «Fratel Ettore aveva chiesto il progetto al rettore del santuario e poi lo ha riprodotto in scala qui a Seveso».

Da quando esiste l’Opera?  
Siamo giovani, l’Opera ha solo 35 anni. È nata nel 1979 per un’emergenza ed è continuata grazie alla personalità di fratel Ettore, che si “tirava dietro” tutti i poveri fin dagli inizi del “rifugio” di via Sammartini a Milano, quando le Ferrovie dello Stato hanno offerto in comodato un luogo dove si scaricavano le merci. Fratel Ettore, che aveva già familiarità e amicizia con i poveri della Stazione, si è fatto aiutare da loro per ripulire quella che sarebbe diventata la loro casa. Nel tempo poi era normale che la comunità stabile crescesse.

E oggi quanti sono gli ospiti di Betania?
Sono una sessantina i residenti che vivono sempre con noi. Il clochard medio ha un’età di 45-50 anni e qualcuno ne ha più di 80, gli uomini sono più del doppio rispetto alle donne. Abbiamo ancora con noi la prima donna raccolta da fratel Ettore nella sala d’aspetto della terza classe (quando esisteva) alla Stazione Centrale.

Quella di Seveso non è l’unica struttura?
No, infatti. Betania è la casa madre, dove è sepolto anche fratel Ettore. Prima è stato aperto il “rifugio”, poi c’è stata la necessità di avere una casa, non bastava il dormitorio. Allora erano tutti insieme: uomini, donne, malati e infettivi. A Casa Betania sono stati accolti subito i malati non infettivi e i poveri già vicini a fratel Ettore. Quest’anno abbiamo ristrutturato a Milano il “Villaggio della misericordia” in zona Affori dove c’è un grande dormitorio (sempre pieno) che ospita 80 uomini e 15 donne, mentre la comunità residenziale di 20 persone gestisce la struttura e assistere le persone. Poi abbiamo una casa a Novate, dove un tempo accoglievamo i malati di Aids. Il nostro è “un ospedale in piedi”, a colazione, mezzogiorno e sera distribuiamo tantissime medicine perché sono quasi tutti malati. Abbiamo una missione anche a Bogotà dove il carisma è identico, come pure le modalità di accoglienza dei poveri.