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Milano

L’Annunciazione non è la comunicazione di un fatto di cronaca, è vocazione e convocazione

Nel giorno di Natale, l’Arcivescovo ha celebrato, in Duomo, il Pontificale di Natale. «L’Annunciazione genera libertà, non chiede passività, non è come un’indiscutibile violenza che si impone, ma vuole suggerire che c’è un cammino da compiere e una storia nuova da scrivere»

di Annamaria Braccini

2 Gennaio 2020

«Abbiamo bisogno di un’annunciazione per svegliarci dal sonno greve e da quella ottusità ostinata che rende opaca la storia, insignificante l’evento decisivo, inconcludente la fatica e disperata la visione del futuro». In Duomo, è l’Arcivescovo a dire così, nel Pontificale da lui presieduto nel giorno del Natale del Signore.
Concelebrata dai Canonici del Capitolo Metropolitano e da alcuni membri del Consiglio Episcopale Milanese, l’Eucaristia si apre sulle note universali dell’“Adeste Fideles” e con il canto dei 12 Kyrie peculiari delle Solennità ambrosiane.
«Abbiamo bisogno dell’annunciazione perché il desiderio di Dio di salvare tutti, la promessa di liberare il suo popolo, l’opera potente che abbatte le porte degli inferi, si compie nella storia di Gesù», spiega il vescovo Mario.
Eppure, «Dio non sembra di farsi pubblicità», a riguardo di questa annunciazione, infatti, «Maria porta a compimento la sua maternità durante un viaggio comandato dai potenti della terra che sono, tuttavia, ignari di quello che avviene a Betlemme di Giudea. Non ci saranno feste nei palazzi e negli stadi della città».
Come allora, poter sapere «l’annuncio della parola semplice e persuasiva che suggerisce l’itinerario verso il Bambino avvolto in fasce e adagiato nella mangiatoia»? Non certo con ciò che oggi noi intendiamo come comunicazione.
«L’annunciazione non argomenta, non entra nelle discussioni che si accendono tra gli uomini, che non convincono e che finiscono per esasperare gli animi. Non è una discussione, non irrompe con l’invadenza di un’aggressione a sconvolgere il pensiero scettico, a smascherare il pregiudizio radicato che esclude Dio dalla vita degli uomini e gli uomini dalla vita di Dio. È una luce che si affaccia con discrezione nella notte del mondo: è come una carezza che genera un brivido di gioia e persuade con l’attrattiva dell’amore. Il pensiero scettico, il pregiudizio radicato resistono indifferenti, non cercano la verità semplice».
È questa la verità che ci è necessaria. «Per questo l’annunciazione non è la comunicazione di un fatto di cronaca, è vocazione e convocazione. L’annunciazione è il modo con cui Dio, rispettoso della libertà dei suoi figli, offre ai figli degli uomini, la grazia di diventare figli di Dio, con le opere e parole, con l’offerta della sua amicizia e il dono, fino al sacrificio, della sua vita. L’attrattiva del Salvatore, rende i salvati partecipi della natura divina: agli uomini è dunque dato di pensare i pensieri di Dio, di avere gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù, di compiere nella storia le opera di Dio».
È questa l’annunciazione di cui abbiamo bisogno, «non l’imporsi di un trionfo che zittisce le domande, che priva della libertà, che conclude la storia», ma ciò che scrive «nella confusione della storia umana, una storia nuova. Storia di uomini e popoli animati dalla speranza, di santi e di peccatori, di generazioni che devono sempre cominciare da capo e fare memoria dell’essenziale. Storia di donne e uomini che vivono di fede e offrono a tutti la testimonianza del Salvatore che è nato, che è vivo, che viene. L’annunciazione genera libertà, piuttosto che chiedere passività, non vuole essere recepita come un’indiscutibile violenza che si impone, ma vuole suggerire che c’è un cammino da compiere e una storia da scrivere, fino al giorno del ritorno glorioso del Signore. Fratello, sorella, regalaci l’annunciazione»
E, prima della benedizione papale con l’indulgenza plenaria – impartita dall’Arcivescovo “per facoltà ottenuta da sua santità papa Francesco”-, l’augurio di un felice Natale, pronunciato anche in inglese e spagnolo.
Dopo il Pontificale in Duomo, il vescovo Mario ha visitato, sostando in ciascuna delle sedi, tre mense: l’Opera Cardinal Ferrari (come tradizione natalizia dei Pastori ambrosiani da molti anni) e i pranzi solidali organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio nell’oratorio della parrocchia di San Michele e Santa Rita e nella RSA Ferrari (nella minigallery alcune immagini).