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Intervista a don Silvano Caccia, responsabile del Servizio per la famiglia «CHE COSA SIGNIFICA OGGI VOLERSI BENE?»

8 Settembre 2006

Per don Caccia prima di qualunque riflessione sul modello di famiglia che si vorrebbe è importante rispondere a una domanda di fondo: che cosa significa oggi volersi bene? Su questo punta la prima parte del nuovo Percorso pastorale che impegnerà la diocesi nei prossimi tre anni.

di Luisa Bove

«La Chiesa non si lascia ingabbiare nello schematismo di un modello di famiglia», dice don Silvano Caccia, responsabile del Servizio per la famiglia della diocesi di Milano, «perché significherebbe cadere a una semplificazione dimenticando la vera domanda: che cosa significa volersi bene». Per questo l’Arcivescovo nel nuovo Percorso pastorale invita a una riflessione di consapevolezza di coscienza, di pensiero, di cultura… che potrà anche tradursi in un discorso più propriamente politico».

Su che cosa punta innanzitutto il Cardinale?
L’Arcivescovo chiede che la comunità da una parte si interroghi e dall’altra incontri l’uomo e la donna contemporanei, ma prima ancora si chieda cosa significa vivere quella particolare relazione d’amore all’interno della vita familiare. È la stessa direzione che prende il Papa nella sua enciclica “Deus caritas est” in cui l’interrogativo sulla verità dell’amore precede quello del modello di famiglia. L’esperienza antropologica sarà poi tradotta in un modello. Noi non possiamo essere arbitri e neppure possessori di questo amore, attraverso il quale ci viene rivelato qualcosa di più grande, ma ne diventiamo i custodi.

E la Chiesa come si pone in relazione alla famiglia?
Dall’esperienza di Gesù e dal cammino storico della Chiesa emerge che il primo passo non è quello di prescrivere, ma di ascoltare. Si tratta di un ascolto educativo nei confronti della coppia e della famiglia. La Chiesa, che per prima si pone in ascolto della Parola di Dio, vuole che questo ascolto sia vissuto anche da quella coppia umana che vive l’esperienza dell’amore e che all’interno della famiglia già pratica l’accoglienza e l’ascolto. Dentro la vicenda umana è inscritta quella Parola di Dio che va portata alla luce.

Le parrocchie già si pongono in ascolto della gente…
L’Arcivescovo invita ad essere più attenti ad alzare l’intenzionalità di ascolto che è già dentro una serie di gesti pastorali che la nostra Chiesa sta compiendo. Penso ad esempio all’incontro che già avviene da parte delle famiglie quando vengono a chiedere il battesimo di un figlio o perché un figlio deve iniziare la scuola dell’infanzia o il percorso di iniziazione cristiana… Ma c’è anche un momento in cui la comunità stessa incontra le famiglie, ad esempio per le visite nel periodo di Natale oppure durante la sofferenza o la malattia quando vive nelle case momenti di preghiera o di invocazione di salute oppure per la preparazione alla celebrazione cristiana della morte quando tocca l’esperienza familiare.

La vera domanda sull’amore, il rapporto tra Chiesa e famiglia, la dimensione dell’ascolto sono quindi i primi aspetti su cui dovranno puntare le parrocchie…
Se questi tre passaggi avverranno dentro una metafora musicale, di rigo scritto o di chiave di apertura, allora si avrà uno sguardo sulla realtà dell’amore a partire non tanto da ciò che gli uomini e le donne vivono, ma da Dio. Il titolo stesso del Percorso pastorale dice che c’è un amore di Dio che ancora una volta è venuta ad “abitarci” prima della nostra situazione umana. Questo consente di iniziare il cammino pastorale dentro le note della speranza, perché c’è un amore umano abitato dall’amore di Dio, indipendentemente dalle condizioni che stiamo vivendo e dalle problematiche che le famiglie vivono anche in relazione alla Chiesa. La presenza dell’amore di Dio è il “vino nuovo” del Vangelo che non viene meno.

Tra le sfide che dovrà affrontare la diocesi c’è anche quella dell’educazione all’amore, cioè della formazione dei fidanzati. Quali sottolineature vengono dal nuovo Percorso pastorale?
C’è continuità con il Percorso “Mi sarete testimoni” perché l’Arcivescovo già allora aveva chiesto al Servizio per la famiglia e al Servizio per i giovani di predisporre dei cammini per il tempo del fidanzamento. A febbraio ci sarà un convegno su questo tema perché vogliamo far partire anche un percorso di formazione per educatori, per giovani sposi che vorranno lavorare con le coppie nel tempo del fidanzamento, quindi a distanza dalla celebrazione del matrimonio. È il tempo in cui la relazione tra i giovani diventa una vicenda seria e vuole essere guardata con un cammino di discernimento vocazionale e che avrà il suo compimento con il matrimonio.

L’amore è anzitutto dono, come pure lo sono i figli, ma anche se non arrivano la famiglia non perde di significato. Tuttavia ci sono coppie che per ottenerli, come dice l’Arcivescovo, percorrono vie «che non sono prive di forti ambiguità etiche»…
L’amore è anzitutto dono reciproco di un coniuge per l’altro. Dono non è solo il figlio che arriva, ma lo è già la relazione stessa se cammina verso una maturità affettiva che fa dell’amore un dono. Questo poi esige una fecondità, ma le strade hanno ancora bisogno di essere esplorate prima di far scattare l’equazione tra desiderio di un figlio e diritto a un figlio.