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La Veglia

Il Papa ai giovani: «Difendete la vostra libertà e la vostra dignità, siate protagonisti della storia»

Le parole di Francesco al milione di partecipanti alla Gmg riuniti nel Campus Misericordiae di Cracovia: «La nostra risposta a questo mondo in guerra si chiama fratellanza»

30 Luglio 2016

I colori del mondo, i suoni della gioventù, le parole di papa Francesco: «Dovete essere protagonisti della storia». Il suo invito a costruire simbolicamente «un ponte primordiale», prendendosi tutti per mano. La sua domanda intesa a verificare la volontà a lasciare un segno, contribuendo a edificare il futuro contro passività e comodità: «Ci stai?». Il Campus Misericordiae di Cracovia affollato di un milione di giovani è stato teatro questa sera della Veglia presieduta dal Santo Padre, mentre i bagliori del tramonto lasciavano progressivamente spazio all’ultima notte della Gmg polacca, rischiarata da migliaia e migliaia di candele.

Le testimonianze

Al suo arrivo Francesco ha attraversato la Porta Santa tenendo per mano sei giovani, in rappresentanza di tutti i continenti. Poi li ha invitati sulla Papamobile per fare insieme il giro del Campus, sorridendo contento.

La Veglia è iniziata con le testimonianze di tre giovani. Natalia, una ragazza polacca con un passato in una rivista di moda, tra feste e ragazzi, racconta della crisi esistenziale che la colse improvvisamente una mattina: «Pensai che quello che facevo della mia vita era tutt’altro che il bene e capii che dovevo confessarmi». Non sapendo come, cercò il termine “confessione” su Google: «Trovai questa frase: Dio per amore è morto per noi. Scoppiai a piangere. Presi un foglio e cominciai a scrivere tutti i miei peccati. Dovevo subito parlare con un sacerdote». Corse in Cattedrale, prese coraggio e raccontò tutto: «Piansi molto, ma uscii dalla chiesa come da un campo di battaglia, stanca, ma allo stesso tempo felice, con la convinzione che Gesù tornava a casa con me».

«Siamo la città dimenticata, il senso della nostra vita è stato annientato»: così Rand Mittri, 26 anni, di Aleppo, descrive il dramma del suo Paese. «Forse è molto difficile per voi comprendere… Ogni giorno viviamo attorniati dalla morte». «Dio dove sei, esisti?», è la domanda che spesso ci si pone. «Attraverso la mia poca esperienza di vita – dice Rand – ho capito che la mia fede in Cristo ha conseguenze sulle circostanze della vita. Sempre più credo che Dio esista malgrado ogni nostro dolore. Credo che talvolta, attraverso il nostro dolore, ci insegni il vero senso dell’amore. La mia fede in Gesù Cristo è la ragione della mia gioia e della mia speranza. Nessuno sarà mai capace di rubarmi questa autentica gioia!».

«Ho preso la droga per sedici anni, a partire da quando ne avevo 11 – confessa Miguel, 34 anni, paraguaiano -. Ho sempre avuto grandi difficoltà di relazione con la mia famiglia, per me era un concetto inesistente». A undici anni la fuga da casa e qualche mese dopo la droga. Poi l’abbandono della scuola, la prigione e diverse ricadute nel crimine. Dopo l’uscita definitiva dalla prigione, un prete amico di famiglia ha invitato Miguel in un luogo chiamato “Casa della speranza”, e «per la prima volta ho sentito di avere una famiglia», dice oggi, quando sono dieci anni che ha recuperato la salute, e ammette: «Dio ci trasforma veramente, ci restaura!».

«Niente giustifica la morte di un fratello»

Papa Francesco parte dalle parole della giovane siriana: «Per noi, oggi e qui, provenienti da diverse parti del mondo, il dolore, la guerra che vivono tanti giovani, non sono più una cosa anonima, hanno un nome, un volto, una storia, una vicinanza… Oggi la guerra in Siria è il dolore e la sofferenza di tante persone, di tanti giovani come la coraggiosa Rand, che sta qui in mezzo a noi e ci chiede di pregare per il suo amato Paese. Ci sono situazioni che possono risultarci lontane fino a quando, in qualche modo, le tocchiamo. Ma quando prendiamo contatto con quelle vite concrete allora ci succede qualcosa di forte, sentiamo l’invito a coinvolgerci… Mai più deve succedere che dei fratelli siano circondati da morte e da uccisioni sentendo che nessuno li aiuterà!». Di qui l’appello «a pregare insieme a motivo della sofferenza di tante vittime della guerra, affinché una volta per tutte possiamo capire che niente giustifica il sangue di un fratello, niente è più prezioso della persona che abbiamo accanto».

«La risposta alla guerra è la fraternità»

Ecco l’esortazione: «Noi non vogliamo vincere l’odio con più odio, vincere la violenza con più violenza, vincere il terrore con più terrore. E la nostra risposta a questo mondo in guerra ha un nome: si chiama fraternità, si chiama fratellanza, si chiama comunione, si chiama famiglia». Poi l’invito: «Facciamo un momento di silenzio e preghiamo; mettiamo davanti a Dio le testimonianze di questi amici, identifichiamoci con quelli per i quali la famiglia è un concetto inesistente, la casa solo un posto dove dormire e mangiare, o con quelli che vivono nella paura di credere che i loro errori e peccati li abbiano tagliati fuori definitivamente. Mettiamo alla presenza del nostro Dio anche le vostre guerre, le lotte che ciascuno porta con sé, nel proprio cuore».

«La paralisi della vita, uno dei mali peggiori»

Riferendosi nuovamente ai tre testimoni rileva: «Al pari dei discepoli hanno passato momenti di paura, in cui sembrava che tutto crollasse… La paura e l’angoscia che nascono dal sapere che, uscendo di casa, uno può non rivedere più i suoi cari, la paura di non sentirsi apprezzato e amato, la paura di non avere altre opportunità… Loro hanno condiviso con noi la stessa esperienza che fecero i discepoli, hanno sperimentato la paura che porta in un unico posto: alla chiusura. E quando la paura si rintana nella chiusura, va sempre in compagnia di sua sorella gemella, la paralisi; sentirci paralizzati… Sentire che in questo mondo, nelle nostre città, nelle nostre comunità, non c’è più spazio per crescere, per sognare, per creare, per guardare orizzonti, in definitiva per vivere, è uno dei mali peggiori che ci possono capitare nella vita», la denuncia del Papa, secondo il quale «la paralisi ci fa perdere il gusto di godere dell’incontro, dell’amicizia, il gusto di sognare insieme, di camminare con gli altri».

«Non siamo al mondo per vegetare»

Ma nella vita «c’è un’altra paralisi ancora più pericolosa e spesso difficile da identificare… È la paralisi che nasce quando si crede che per essere felici abbiamo bisogno di un buon divano, che ci aiuti a stare comodi, tranquilli, ben sicuri, contro ogni tipo di dolore e timore. Un divano che ci faccia stare chiusi in casa senza affaticarci, né preoccuparci». La «divano-felicità – ammonisce Francesco traducendo il suo neologismo anche in polacco, kanapaszczęście – è probabilmente la paralisi silenziosa che ci può rovinare di più; perché a poco a poco, senza rendercene conto, ci troviamo addormentati, imbambolati e intontiti, mentre altri decidono il futuro per noi..». «Volete essere imbambolati? – chiede -. Volete che altri decidano per voi? Volete essere liberi? Volete lottare per il vostro futuro?». «La verità è un’altra – spiega -. Non siamo venuti al mondo per vegetare, per passarcela comodamente, per fare della vita un divano che ci addormenti; al contrario, siamo venuti per un’altra cosa, per lasciare un’impronta. Quando scegliamo la comodità, confondendo felicità con consumare, allora il prezzo che paghiamo è molto, ma molto caro: perdiamo la libertà… Dobbiamo difendere la nostra libertà!».

«Tu cosa rispondi?»

«Il tempo che oggi stiamo vivendo non ha bisogno di giovani-divano, ma di giovani con le scarpe, meglio ancora con gli scarponcini calzati – insiste Francesco -. Gesù è il Signore del rischio, non è il Signore del confort, della sicurezza e della comodità… Per seguire Gesù bisogna decidersi a cambiare il divano con un paio di scarpe che ti aiutino a camminare su strade mai sognate e nemmeno pensate, su strade che possono aprire nuovi orizzonti, capaci di contagiare gioia, quella gioia che nasce dall’amore di Dio, la gioia che lascia nel tuo cuore ogni gesto, ogni atteggiamento di misericordia».

Allora l’invito conclusivo è quello ad «andare per le strade seguendo la pazzia del nostro Dio, che ci insegna a incontrarlo nell’affamato, nell’assetato, nel nudo, nel malato, nell’amico che è finito male, nel detenuto, nel profugo e nel migrante, nel vicino che è solo. Andare per le strade del nostro Dio che ci invita ad essere attori politici, persone che pensano, animatori sociali. Che ci stimola a pensare un’economia più solidale…». Il nostro tempo, incalza Francesco con una metafora calcistica, «accetta solo titolari in campo, non c’è posto per le riserve. La storia oggi ci chiede di difendere la nostra dignità e non lasciare che siano altri a decidere il nostro futuro». Il Signore, assicura il Papa, «vuole le tue mani per continuare a costruire il mondo di oggi. Vuole costruirlo con te. E tu cosa rispondi, sì o no?», con l’aggiunta: «Gesù ti proietta all’orizzonte, mai al museo!».

Il ponte umano

«Oggi noi adulti abbiamo bisogno di voi, per insegnarci a convivere nella diversità, nel dialogo, nel condividere la multiculturalità non come una minaccia, ma come un’opportunità» il tributo sincero alle nuove generazioni. «La vita di oggi ci dice che è molto facile fissare l’attenzione su quello che ci divide, su quello che ci separa. Vorrebbero farci credere che chiuderci è il miglior modo di proteggerci da ciò che ci fa male… Abbiate il coraggio di insegnarci che è più facile costruire ponti che innalzare muri!». «Sapete qual è il primo ponte da costruire? – chiede il Pontefice -. Un ponte che possiamo realizzare qui e ora: stringerci la mano, darci la mano. Forza, fatelo adesso, qui, questo ponte primordiale, e datevi la mano. È il grande ponte fraterno, e possano imparare a farlo i grandi di questo mondo… Non per la fotografia, bensì per continuare a costruire ponti sempre più grandi». E la platea sterminata di giovani risponde, prendendosi per mano.

«Che questo ponte umano sia seme di tanti altri; sarà un’impronta – le parole di Francesco -. Oggi Gesù, che è la via, ti chiama a lasciare la tua impronta nella storia. Lui, che è la vita, ti invita a lasciare un’impronta che riempia di vita la tua storia e quella di tanti altri. Lui, che è la verità, ti invita a lasciare le strade della separazione, della divisione, del non-senso». «Ci stai?», la richiesta di impegno a ciascuno. E la risposta è la “ola” delle mani dei ragazzi intrecciate l’una con l’altra, accompagnata da un applauso interminabile con il nome del successore di Pietro ben scandito nelle sue sillabe.