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Fidanzati: verso il “sì” per sempre

Presentato il documento della Commissione episcopale per la famiglia e la vita su preparazione a matrimonio e famiglia

9 Novembre 2012

«Educare all’amore e accompagnare nel percorso del fidanzamento sembrano, oggi, imprese particolarmente difficili, per alcuni, addirittura, improponibili, ritenendo che i mutamenti culturali e sociali siano tali da mettere radicalmente in discussione l’esistenza stessa dell’istituto del matrimonio». Con queste parole monsignor Enrico Solmi, vescovo di Parma e presidente della Commissione episcopale per la famiglia e la vita, introduce il documento reso pubblico oggi, con il titolo Orientamenti pastorali sulla preparazione al matrimonio e alla famiglia.

Il vescovo nota che, nell’attuale contesto, sembra «perdere valore la condizione del fidanzamento a favore di ormai diffuse forme di convivenza, prematrimoniali o permanenti o almeno “finché ci vogliamo bene”. Anche il percorso di educazione all’amore pare seguire questa deriva, a tutto vantaggio della pretesa di una neutra informazione che assicuri un esercizio della sessualità privo di rischi per sé e per gli altri». Il documento dei vescovi è motivato dalla considerazione che «la comunità cristiana conosce bene queste posizioni e le scelte che ne derivano, ma riconosce ancor più e ribadisce il valore e la fiducia nella persona umana come essere educabile all’amore totale, unico, fedele e fecondo, come è l’amore degli sposi, attraverso un percorso progressivo e coinvolgente». «Credendo alla possibilità di educare e crescere nell’amore», il documento si propone quindi di offrire «linee rinnovate per i percorsi verso il matrimonio».

Un impegno «definitivo»

La premessa del testo è che il fidanzamento è un «valore», in quanto «tempo necessario e privilegiato per conoscersi tra innamorati, per compiere passi importanti e per accogliersi come dono reciproco, se questo è nel pensiero di Dio». L’obiettivo è quindi di offrire dei contenuti validi in modo che si compia «un buon cammino verso le nozze», educando a un «amore sponsale in un mondo che cambia». I motivi di tale insistenza risiedono nel fatto che oggi «si vorrebbero infatti porre sullo stesso piano del matrimonio scelte diverse e meno impegnative, come la semplice convivenza o la scelta di rimanere sempre fidanzati, continuando ad abitare nelle rispettive famiglie di provenienza, offuscando l’orizzonte dell’amore, che per sua natura rende capaci del dono totale di sé. La Chiesa non giudica e non intende allontanare chi compie tali scelte; al contrario desidera entrare in un proficuo dialogo con loro e li invita a non allontanarsi dalla vita ecclesiale. Non può però rinunciare ad affermare che vi è una forma di relazione della coppia, quella matrimoniale, che non può essere comparata con le altre forme di convivenza o accompagnamento, perché basata sull’assunzione definitiva del proprio impegno nei confronti dell’altro».

La bellezza dell’amore umano

Tra le convinzioni di fondo che il documento propone vi è quella che «costruire la famiglia rinnova la società», in quanto la famiglia si pone come «cellula vivificante e risorsa feconda» che «partecipa alla vita della società per far crescere in umanità i suoi membri». La famiglia, inoltre, «alimenta la coesione sociale e ne è l’autentica sorgente». Dentro questo orizzonte, il primo aspetto che il documento affronta è quello dell’«affettività e innamoramento», in un contesto in cui sembra prevalere una banalizzazione dell’amore sotto forma di puro erotismo. Viene quindi riproposta la bellezza dell’amore umano con i valori correlati del «pudore» e della «castità», ribadendo al riguardo il compito educativo dei genitori, oltre che il «prezioso apporto dei carismi e della vita consacrata». La preparazione al matrimonio non è qualcosa d’improvvisato, ma – dice il documento – «un cammino graduale e continuo», da proporre «per tempo». Solo così i fidanzati possono giungere a considerare la loro come una «relazione umanamente matura» in cui si ravvisino i tre elementi della «identità», della «reciprocità» e della «progettualità» come coppia.

Le «tappe» da percorrere

Il cammino verso le nozze ha poi bisogno di «tappe» quali l’incontro con il parroco, la partecipazione agli incontri formativi offerti dalla comunità locale, la preparazione al rito del matrimonio. Tali incontri dovrebbero essere «ricchi di confronto all’interno della coppia e fra le coppie partecipanti», «evitando le lezioni frontali», in un «ambiente familiare, accogliente» e che «metta a proprio agio i fidanzati». In tale contesto vanno accolti tutti, credenti e non credenti, quando questi ultimi «accettano e rispettano il partner per la fede che ha». Vanno quindi accompagnate anche le «persone che convivono» tramite un «criterio pastorale unitario e appropriato», orientato a un’assunzione consapevole del significato del matrimonio cristiano. Una particolare attenzione è necessaria nell’accoglienza verso coppie unite con rito civile che chiedono il matrimonio religioso e di far battezzare i figli nati dall’unione civile. Come pure occorre una «peculiare attenzione pastorale» nei confronti dei fidanzati o conviventi, specie nei casi di matrimoni misti tra un cattolico e un battezzato non cattolico o, ancora più, quando uno dei due non è battezzato.

Fecondità, sobrietà, impegno sociale

Nella parte conclusiva il documento ribadisce che il «matrimonio è via di santificazione» e che gli «sposi sono ministri dell’amore»: c’è una «ministerialità sponsale» che, accanto a quella «presbiterale» ha la sua radice «nell’unico battesimo, sorgente di ambedue le vocazioni», che «si differenziano per i diversi doni dello Spirito conferiti nei rispettivi sacramenti». Si parla poi della preparazione alla «gestione dei conflitti» nella coppia, all’orientamento alla «piena fecondità», alla «scelta della sobrietà» come stile di vita semplice ed evangelico, alla sofferenza da accogliere con coraggio e sopportazione. Infine il testo propone «alleanze educative attorno alle giovani famiglie» per sostenerle in eventuali momenti di crisi, oltre che un maggiore «protagonismo» delle famiglie nelle cosiddette «politiche familiari», assumendosi «la responsabilità di trasformare la società».