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Università della Terza Età

Delpini: «Contro l’esibizionismo e la lamentela coltivare la saggezza ispirata da Dio» 

Con la celebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo nella chiesa di San Marco avviato l’anno accademico per l’istituzione intitolata al cardinale Colombo

di Annamaria Braccini

6 Novembre 2018

«Le Università della Terza Età in questi anni si sono moltiplicate, promosse da vari enti, istituzioni e organizzazioni, ma noi rimaniamo la prima sorta e l’unica che dipende direttamente dalla Diocesi»: nelle parole di monsignor Renzo Marzorati si sente l’orgoglio del rettore – nominato direttamente dall’Arcivescovo di Milano – di un ateneo di alto profilo accademico e di profondo significato sociale, come l’Università nata nel 1983 dall’intuizione profetica del cardinale Giovanni Colombo, a cui è oggi intitolata (www.universitacardinalcolombo.it).

Dalla fondazione, tanti i successi – anche non mancano le difficoltà -, con nomi di grande prestigio succedutisi alla guida di questa realtà, come Paolo Mantegazza (rettore della Statale prima di diventarlo dell’“Ateneo degli anziani”, così come l’aveva definito lo stesso Colombo) o lo storico Giorgio Rumi. Senza dimenticare docenti divenuti cardinali quali Giovanni Saldarini e Dionigi Tettamanzi. Oggi gli studenti sono oltre 500, molti i volontari che sostengono le attività, tre i dipartimenti – storico-letterario, medico-scientifico e quello relativo alle scienze religiose -, 57 i docenti, per un offerta complessiva di decine e decine di corsi e laboratori di arte, teatro, lingue straniere. Insomma, le aule del complesso della chiesa di San Marco nella piazza omonima sono frequentatissime.

Certamente anche per questo a inaugurare l’anno accademico 2018-2019 è l’Arcivescovo, che presiede la Messa concelebrata dallo stesso monsignor Marzorati, da monsignor Gianni Zappa (responsabile della Comunità pastorale Paolo VI, cui appartiene San Marco), da monsignor Franco Cecchin (neo assistente ecclesiastico diocesano del Movimento Terza Età), da don Alberto Cozzi (preside dell’Istituto di Scienze Religiose di Milano, che gestisce l’ateneo) e da monsignor Luigi Nason, biblista e docente.

L’omelia

A tutti si rivolge l’Arcivescovo che parla di un «esibizionismo del positivo». Atteggiamento che è «quella voglia di apparire moderni, aggiornati, al passo con i tempi in una continua eccitazione per ogni ritrovato tecnologico avanzato, per ogni idea che sembra nuova e che diventa di moda, per ogni particolare esotico che viene lanciato sul mercato. L’esibizionismo che si manifesta nell’essere sempre d’accordo con lo stile dei nipoti, sempre accondiscendenti verso le pretese o le stranezze dei loro capricci; che impone di essere informati su tutto anche se solo per titoli e per flash catturati da letture affrettate, magari fornite in rete e abilmente selezionate dagli intenti dei padroni della rete». Un esibizionismo che non è, comunque e sempre, un peccato veniale, specie se diviene un modo per «parlare secondo il linguaggio politicamente corretto che modifica le parole e mistifica le situazioni» come, per esempio, nella tendenza a essere imbarazzati a dire bene della Chiesa.

E poi c’è l’altro trend dominante: «La desolazione della lamentela, quel modo di essere scontenti di tutto e di tutti che esprime e diffonde malumore, che pronuncia giudizi senza misericordia su come sia la gente di oggi e su come vada il mondo… La desolazione della lamentela non produce un pensiero, ma solo un disagio, scredita i tempi, i giovani, gli adulti, le istituzioni, con buone o cattive ragioni, ma non offre alcun contributo, non ha a cuore nessun passo avanti. Forse rivela l’inconfessata presunzione di superiorità che si sente nelle condizioni di giudicare, che fa coincidere l’esercizio dell’intelligenza con la pratica della critica». Insomma due modalità diverse, ma le facce di quella stessa medaglia che è l’«omologarsi all’aria che tira».

Quale il ruolo dei cristiani in tutto questo? «La Scrittura chiama ad abitare la storia leggendo le vicende umane alla luce della speranza. Il compito di un’Università che si ispira alla rivelazione cristiana è interpretare la storia, raccogliere le tracce della speranza, narrare le grandi tragedie e le drammatiche violenze, ma anche le affascinanti conquiste e i risultati sorprendenti della vicenda umana, confermando la certezza che l’Agnello vincerà. La rivelazione di Gesù spinge anche oltre, a essere attenti a tutte le discipline, non per curiosità che accumula erudizione, ma per una sapienza che tutto avvolge con quella del Verbo».

Così l’augurio per l’avvio dell’anno accademico, viene espresso con la raccomandazione di tre percorsi «che aiutano a essere originali rispetto ai luoghi comuni della banalità»: «Conoscere Gesù e vedere in Lui la rivelazione del Padre, guardando a ciò che di bello e di buono è seminato sulla terra, perché la conoscenza più preziosa è quella di Dio. Inoltre, saper conoscere ogni cosa alla luce del Verbo. Non solo l’erudizione e l’informazione, la ricerca della lettura, l’ascolto di professori che offrono la loro competenza, ma coltivare, quindi, l’armonia del tutto nella luce che tutto avvolge. Infine, interpretare la storia con uno sguardo profetico che non rinuncia mai alla speranza, e farlo non solo con l’accumularsi dei dati e della documentazione, ma con una saggezza ispirata».