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Riflessione

Crisi, usciamone insieme

Dal «Fondo Nasko» al referendum sulla legge Merlin, decisioni della Giunta regionale con un «difetto di umanità». Il vicario episcopale riprende le parole del cardinale Scola durante la sua recente visita in Regione

di Luca BRESSAN Vicario episcopale per la cultura, la carità, la missione e l’azione sociale

13 Aprile 2014

La modifica dei criteri di assegnazione del «Fondo Nasko», ovvero la decisione della Giunta regionale di modificare i criteri di assegnazione del sostegno a favore delle donne in attesa di un figlio, limitando i benefici solo alle donne italiane e a quelle straniere presenti da almeno cinque anni. E, pochi giorni dopo, la proposta di un referendum abrogativo della legge Merlin, presentata come strumento per risolvere la piaga della prostituzione di strada che segna vie e quartieri del tessuto lombardo. In pochi giorni il clima politico regionale si è acceso e il dibattito ha assunto tinte forti e colorite.

Attraverso le parole della Caritas la Diocesi è già intervenuta, segnalando prontamente il proprio disagio e il proprio dissenso di fronte a decisioni che, pur cercando di rispondere a problemi creati dalla crisi in cui ci troviamo, non possono tuttavia essere condivise per il difetto di umanità che contengono. È vero: simili soluzioni consentirebbero di risolvere reali situazioni di disagio, ma al prezzo di un impoverimento del capitale umano delle nostre strutture sociali che è davvero inaccettabile. Uscire dalla crisi meno uomini non è certamente un’uscita da consigliare, e tantomeno per dei cristiani.

Lasciando i giudizi tecnici alle parole di don Roberto Davanzo, direttore della Caritas, ci interessa invece ora riprendere una riflessione più di sfondo, di ampio raggio. Perché siamo giunti ad un punto simile? Perché sembra che, di fronte all’imperversare di una crisi che non conosce termine, il tessuto sociale si stia imbarbarendo, e ai vincoli di solidarietà subentrino in modo impercettibile ma reale forme di raffinato (calcolato) egoismo: se non si possono salvare tutti, che almeno alcuni si salvino (sottintendendo la presenza nostra e di chi ci è caro nel gruppo di questi «alcuni»).

Una simile allusione ci fa subito comprendere che il punto di frizione va cercato perciò non tanto nelle singole soluzioni di volta in volta adottate, ma nel modo con cui queste soluzioni vengono costruite, ovvero nel modo in cui si sviluppa una comprensione globale della crisi che stiamo vivendo.

Nel suo intervento al Consiglio Regionale lo scorso 4 febbraio, il cardinale Angelo Scola richiamava proprio la crucialità di questo passaggio, affermando che il difetto delle soluzioni andava additato al difetto di interpretazione: «La crisi economica che stiamo vivendo e che segna in profondità il presente della Lombardia – affermava il Cardinale – è molto più grave di quanto le nostre previsioni abbiano immaginato: per durata, per estensione, per capacità di fiaccare la nostra speranza. Il nostro errore nella previsione dipende da un difetto nella lettura: la vediamo solo come una crisi economica, e non per quello che è veramente, un travaglio di civiltà all’inizio del nuovo millennio. Ne è segno il fatto che, non accettando di cambiare profondamente i nostri stili di vita, continuiamo ad immaginare scenari che ci riportino a come eravamo e che, alla fine, ci lasciano paralizzati».

Si possono trovare soluzioni ai problemi drammatici con cui la crisi ci obbliga a confrontarci, se accettiamo di affrontare le questioni al loro giusto livello, che è quello antropologico e culturale. Chi vuole essere l’uomo del terzo millennio? Come affermava il cardinale Angelo Scola, «si può dire che la nostra Regione ha bisogno di un “nuovo umanesimo” che non disgiunga il progetto storico da una costruttiva discussione sull’“umano” e sull’ideale, discussione impegnativa certo, ma carica di speranza per una effettiva rinascita. Su questo contenuto decisivo dell’umano convivere la Chiesa ambrosiana è interessata ad approfondire o a instaurare un confronto e a operare insieme in tutti i modi opportuni e rispettosi delle debite distinzioni».

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