Share

19 gennaio

Come cento anni fa
la preghiera della Chiesa

Nel suo messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato il Papa invita a leggere le migrazioni come una risorsa per costruire un mondo migliore

di Giancarlo PEREGO Direttore generale Fondazione Migrantes

14 Gennaio 2014

È passato un secolo da quando, nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, commosso dalla drammatica situazione di migliaia di rifugiati e profughi e di persone e famiglie espulse dai Paesi europei tra loro belligeranti, Benedetto XV scrisse a tutti i Vescovi italiani invitandoli a celebrare in ogni parrocchia una Giornata di preghiera e di solidarietà per i migranti. Da allora, ogni anno, in Italia prima e poi in tutto il mondo, questa Giornata è diventata una tappa fondamentale del Magistero della Chiesa sulle migrazioni.

Quest’anno Papa Francesco, dopo averci sollecitato nelle prime sue due visite in Italia, a Lampedusa e al Centro Astalli di Roma, a guardare al cammino drammatico dei migranti e dei rifugiati, nel suo messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato (19 gennaio) ci invita a leggere le migrazioni come una risorsa per costruire un mondo migliore. Di fronte alla paura e ai pregiudizi, alle crescenti discriminazioni nei confronti dei migranti, allo sfruttamento che scade in una rinnovata tratta degli schiavi, Papa Francesco invita anzitutto le nostre comunità cristiane a costruire un alfabeto e uno stile di vita diverso, che aiuti a passare nelle nostre città «da una cultura dello scarto a una cultura dell’incontro».

Lo sviluppo integrale della persona e dei popoli chiede di impegnarsi oggi, anche in Italia, in due direzioni. Anzitutto rafforzare e non indebolire – come sta avvenendo nel nostro Paese e in Europa – le risorse della cooperazione internazionale, che aiutano persone e famiglie a non lasciare il proprio Paese. Inoltre, superare situazioni vergognose in cui vengono accolti o vivono i migranti anche in Italia.

Le drammatiche morti di 366 persone, uomini donne e bambini, nel tratto di Mediterraneo di fronte a Lampedusa, come dei 7 operai cinesi arsi vivi nell’azienda tessile di Prato, ci hanno ricordato l’incapacità di avere adeguate strutture di accoglienza in un confine d’Italia che è anche d’Europa; ma ancor più l’inazione se non la tolleranza, visti i pochissimi casi di denuncia – 80 riscontrati nel 2012 in sole 3 regioni italiane (70 casi in Puglia, 7 in Campania e 3 in Emilia Romagna) – rispetto alle situazioni di sfruttamento e di lavoro nero di migliaia di immigrati, uomini e donne, dal Nord al Sud del nostro Paese: nelle aziende, nei servizi alla persona, in agricoltura, nei porti. In questi anni il mondo dei lavoratori immigrati in Italia è cresciuto, arrivando a 2.300.000 unità: 1 lavoratore su 10 in Italia è un lavoratore immigrato.

La crisi economica non può giustificare una caduta così grave della nostra democrazia nella tutela dei diritti dei lavoratori e delle loro famiglie: in Italia i lavoratori immigrati sotto “inquadrati” sono il 61% contro il 17% dell’Europa; le retribuzioni dei lavoratori immigrati è inferiore a quella degli italiani del 24,2%; 100mila infortuni sul lavoro denunciati riguardano lavoratori immigrati – con una percentuale doppia e talora tripla rispetto a quella degli italiani – senza contare i cosiddetti “infortuni invisibili”. L’incapacità legislativa di far incontrare domanda e offerta di lavoro nel mondo dell’immigrazione, oltre a generare continuamente irregolarità di permanenza nel nostro Paese, alimenta naturalmente lo sfruttamento lavorativo e il lavoro nero. Per queste ragioni, il cammino «verso un mondo migliore», in compagnia dei migranti, deve essere animato da una «sete di giustizia», perché la storia di molte persone diventi anche la nostra storia sociale ed ecclesiale e il Mediterraneo sia, come amava dire Giorgio La Pira, non una barriera, un presidio, ma «una fontana»: un luogo comune su cui costruire il domani.

Domenica 19 gennaio, con Papa Francesco, nelle nostre parrocchie siamo invitati a una preghiera comune e a condividere gesti di solidarietà, perché il mondo della mobilità umana sia almeno per un giorno al centro della comunità, nello spirito evangelico e conciliare della preferenza per i poveri.