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In Duomo

Chiamati a essere testardi testimoni della Risurrezione

Nella celebrazione eucaristica dedicata ai defunti, l’Arcivescovo, che nella giornata del 2 novembre si è recato in tutti i cimiteri cittadini, ha riflettuto sul significato della vita eterna e pregato sulle sepolture dei cardinali Colombo, Martini e Tettamanzi

di Annamaria Braccini

2 Novembre 2017

Perché la gente, oggi, non vuole più ascoltare anche quando la buona notizia è la Risurrezione, che «offre luce nelle tenebre e consolazione nella desolazione»? Perché si preferiscono spesso – troppo spesso – fatti e notizie che svaniscono in un giorno? Perché non siamo più capaci veramente di porgere attenzione a cosa ha da dire il Signore attraverso la sua Chiesa?
Nella serata del 2 novembre, dopo aver visitato, per una breve preghiera, tutti i Cimiteri di Milano e celebrato Messa, nel primo pomeriggio, in quello di Lambrate, l’arcivescovo Delpini presiede in Duomo l’Eucaristia per i Defunti, concelebrata dall’intero Capitolo Metropolitano della Cattedrale.
La Parola di Dio, nel brano del Libro di Giobbe, nella forse inascoltata I lettera di san Paolo inviata ai Tessalonicesi «tentati di vivere disperati, depressi, afflitti» e nella pagina del Vangelo di Giovanni al capitolo sesto, portano al cuore della riflessione di monsignor Delpini che, come vescovo e prete, si chiede se si sia, oggi, appunto ascoltati. Ma, soprattutto, pare interrogare gli uomini e le donne del nostro tempo: «Perché non chiedete parole di Vangelo e sempre ponete domande su fatti di cronaca, su questioni di politica e di sociologia, di attualità e di curiosità? Perché coloro che incontrano la Chiesa non le chiedono parole di speranza, ma solo attenzione ai bisogni immediati? È così poco interessante il centro vivo del messaggio cristiano?».
Perché la maggioranza dell’umanità, e anche tanti cristiani, almeno nel cosiddetto nord ricco del mondo, dice: «Non parlateci della vita eterna, aiutateci a tirare avanti questa vita poca e tribolata; non parlateci del paradiso e delle sue gioie, lasciateci in pace perché possiamo divertirci e non pensare troppo alla condanna a morte che incombe su di noi. Preferiamo mille distrazioni a un pensiero serio, preferiamo chiacchiere e i piccoli piaceri della giornata alla grande gioia, alla beatitudine perfetta. Perché?». Perché si è perso il senso della Risurrezione e di una vita eterna che non è “dopo” quella terrena, ma già anticipata in essa.
Eppure, è proprio in questo contesto che occorre rimanere «testardi testimoni» della Risurrezione, suggerisce Delpini.
«Che cosa facciamo noi, inviati per condividere un messaggio che cade nell’indifferenza? Il Signore ci chiede di restare qui, ostinati a dichiarare che senza la speranza non si può vivere e che una vita destinata alla morte è insensata. La Chiesa è come la sorgente che non si stanca di offrire acqua fresca, non parlando della vita eterna come di una vita che “viene dopo”, quindi, irrilevante per il tempo presente; di un pensiero e di una parola che rivelano un futuro esotico e inimmaginabile; non indicando una gioia tenuta di riserva, quindi, non sperimentabile per chi vive nella tribolazione della storia. Parliamo di una promessa che cambia questa vita, di una gioia che trasfigura questo nostro quotidiano abitare il tempo, di una comunione che, fin d’ora, trasfigura il sentire, i rapporti, lo stile di vita e offre un ristoro a chi è stanco, oppresso, deluso».
Da qui l’auspicio di comprendere l’autentico significato della vita eterna «che non è una sorta di consolazione per chi non sa più vivere la vita quotidiana», ma al contrario, è sorgente sempre viva da offrire, come acqua fresca e pura, «senza risentimento, a chi ci ignora, pronti a soccorrere chi chiede ragione della speranza che è in noi».
A conclusione, dopo la benedizione finale, l’omaggio dell’Arcivescovo e dei concelebranti, con una preghiera silenziosa, sulle tombe dei cardinali Colombo, Martini e Tettamanzi.