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Charles de Foucauld NON SI È RASSEGNATO AL MONDO

2 Novembre 2005

di Pierangelo Sequeri

Aspetto con molta passione, come una grazia per la Chiesa stessa, la beatificazione di Charles de Foucauld. A un primo sguardo si tratta del classico “monaco” (anche etimologicamente: uomo “solo”) consegnato alla preghiera e alla distanza dalla vita nel mondo.

Ma se andiamo a vedere bene il luogo dove quest’uomo vive, e il modo in cui vive la sua ricerca spirituale, lo vediamo approdare a una tale forma d’incarnazione nel tessuto quotidiano di un intero universo di esistenze concrete, assai simili a quelle di cui era sempre circondato Gesù.

Giorno e notte de Foucauld tesse una trama di legami destinati a riscattare questa umanità del deserto e dell’abbandono dal disprezzo cui le potenze del mondo l’hanno consegnata. Quest’uomo studia la lingua del popolo cui si è consegnato, accudisce le loro famiglie, orienta le loro scelte comunitarie: comprese quelle politiche e civili, nell’incontro con un mondo occidentale dal quale non possono difendersi facilmente.

Qui capiamo benissimo in che senso la radicalità di una scelta carismatica del religioso cristiano è in vista del riscatto degli altri dal dominio delle potenze mondane, che si servono delle normali condizioni di vita e d’indigenza, per mortificarne lo spirito.

Charles de Foucauld fa la differenza (cristiana) attraverso i legami di agape che costruisce e che, nel tempo, si manifestano più solidi di ogni altro legame mondano, in vista del riscatto della qualità spirituale di una vita degna nel mondo degli uomini.

Quest’uomo, come lo Spirito di Dio (cfr Romani 8), non si rassegna al mondo così come la storia glielo consegna e va a vedere sotto ogni sasso, se per caso vi sia qualcosa di vivente che deve essere riscattato.