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Educazione

Castagna: «Abusi, così il Seminario forma alla corretta relazione educativa»

Il Rettore è stato anche Segretario della Commissione diocesana per la tutela dei minori: «Abbiamo costituito un gruppo di lavoro che mette in campo diversi apporti. La Chiesa deve affinare di più la sua sensibilità e uscire dalla referenzialità»

di Luisa BOVE

14 Novembre 2021
Don Enrico Castagna

Negli ultimi anni in Diocesi sono emersi casi di abuso sui minori. Il Seminario è un presidio importante per ridurre il fenomeno. Ne parliamo con il rettore don Enrico Castagna che dal 2019 è membro della Commissione diocesana per la tutela dei minori.

Quando un giovane chiede di entrare in Seminario è previsto un percorso di valutazione a scopo preventivo?
Ci sono molti “sguardi” che concorrono alla conoscenza della persona che si affaccia al Seminario. Tutti questi sguardi sono importanti. C’è quello del prorettore, che agisce in rete con altri accompagnatori, compresi quanti, nelle realtà ecclesiali di provenienza, seguono il giovane orientato al Seminario. Poi c’è l’elemento del colloquio, durante il quale bisogna fare emergere la conoscenza di sé e la coscienza di sé, e nel caso propiziare un cammino perché ciò che si richiede all’inizio non è lo stesso a metà percorso o alla fine.

Nell’arco dei sei anni di formazione ci sono lezioni o incontri con persone qualificate, che accompagnano in un cammino di maturità psicologica, antropologica, sessuale?
La valutazione psicologica è un servizio offerto alla persona. Io non parlo con gli psicologi, ma è il giovane che decide se fare questa valutazione. Quasi tutti la fanno e molti proseguono nell’accompagnamento. Poi il rettore, nel prosieguo del cammino, ascolta dai seminaristi il racconto di quei cammini di approfondimento e di conoscenza di sé che ciascuno fa, compreso quello psicologico. Il giovane si apre e non ha timore, dopo aver approfondito alcuni aspetti, a riportarli a chi rappresenta la Chiesa.

La Diocesi ha prodotto un documento sulla formazione e prevenzione…
Purtroppo il Covid ha rallentato tutto, ma a partire dal documento “Formazione e prevenzione”, abbiamo costituito in Seminario un gruppo di lavoro che mette in campo diversi apporti interni (rettore, vicerettore, prorettore, padri spirituali, responsabile dell’équipe psicologica, docenti di morale e di diritto canonico) per un focus sull’azione educativa. Questo lavoro, che ci porterà a confrontarci anche con una supervisione esterna, produrrà un documento utile a noi, ai preti e alle comunità di origine o di destinazione dei seminaristi. Lo scopo è di educare alla corretta relazione educativa.

Dopo il Summit mondiale sulla tutela dei minori voluto da papa Francesco nel febbraio 2019 c’è stata una ricaduta in Seminario?
Tutto questo ha una ricaduta che non è facile misurare. La ricaduta è che si sia attenti al rispetto delle leggi ecclesiali e civili. Lo stesso documento della Diocesi è stato oggetto di formazione per i seminaristi, di dialogo e approfondimento, insieme ad altri testi ecclesiali. Il passo ulteriore che la Chiesa e anche noi dobbiamo fare è di affinare di più la sensibilità, uscire dalla nostra referenzialità e renderci conto dell’altro. Siamo abituati a guardare subito al prete, ma c’è una priorità delle vittime e di ciò che esse provano.

Quando in ottobre sono stati pubblicati i risultati della Commissione sugli abusi sessuali in Francia o quando i giornali pubblicano una notizia di abuso da parte di un prete, affrontate l’argomento?
Rientrati dopo l’estate, con ogni classe abbiamo affrontato il tema del giovane prete che è stato accusato di presunti abusi. Abbiamo condiviso ciò che i fatti estivi hanno suscitato, su come vanno interpretati, come hanno vissuto la notizia, da chi sono stati aiutati, quale responsabilità assumere verso di sé. Questi fatti recenti il Seminario li ha sentiti come molto vicini, visto che il prete aveva pochi anni di Messa ed era conosciuto. Ma non c’è solo il Seminario. I seminaristi non sono isolati, arrivano dalle parrocchie, sono inviati il sabato e la domenica a vivere esperienze pastorali o caritative, chi li accoglie fa parte della comunità educante, anche se le responsabilità sono diverse. Occorre quindi affinare lo sguardo di tutti perché tutti possiamo osservare alcuni aspetti, riconoscerli, accompagnare, verificare e raccontare ciò che vediamo rispetto alle relazioni in generale ed educative in particolare.

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