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Riflessione

“Allargare il nostro sguardo”

L'intervento rivolto dal cardinale Tettamanzi alle migliaia di giovani accorsi in Duomo per la Traditio Symboli dello scorso 4 aprile si è; ampliato fino a coinvolgere chi non risponde all'invito della Chiesa

Pino NARDI Redazione

2 Maggio 2009

«Cari giovani, cercate per la vostra vita e per il mondo ciò che è vero, buono e bello. Abbiate il gusto per ciò che riempie la vostra esistenza, spendete le vostre energie per costruire la strada del dialogo con tutti, oltre i pregiudizi e le differenze, riconoscete quanto di bello vi circonda e sappiate valorizzare tutte le risorse che il mondo vi offre. Quanto la ricerca e la scienza conquistano, se usato bene e con intelligenza, concorre alla felicità dell’umanità. Vincete ogni diffidenza, ma non siate ingenui. Confrontatevi con tutti, ma non perdete le vostre idee. Lottate contro ogni arroganza e ogni integralismo, ma sappiate anche essere coerenti e perseveranti».
Così ha concluso la sua riflessione il cardinale Tettamanzi davanti alle migliaia di giovani in Duomo per la Veglia in Traditione Symboli lo scorso 4 aprile. Ha parlato a chi vive fino in fondo la sua appartenenza alla comunità ecclesiale. Eppure all’Arcivescovo non manca lo sguardo per un numero elevatissimo di ragazzi che lì non vanno ad ascoltare la Parola. «Dobbiamo pensare che siamo chiamati a rivolgerci a ogni uomo che abita le nostre città. Dobbiamo portare nel cuore e nella preghiera la storia di tutti, al di là di ogni differenza culturale, sociale, economica e religiosa. Ancora troppo spesso siamo tentati di considerare solo quelli che appartengono al nostro gruppo, alla nostra comunità, “ai nostri”. Ancora troppo spesso siamo tentati di contarci e di verificare se siamo o no un popolo numeroso. Scontrandoci così, inevitabilmente, con delusioni e frustrazioni. Anche tra i gruppi giovanili degli oratori è facile sentir dire: “Siamo sempre i soliti tre o quattro, non c’è nessuno, sono sempre quelli che devono fare tutto”».
E così “i paletti della tenda” vanno allargati. «Il testo della Scrittura che abbiamo ascoltato ci spinge ad allargare il nostro sguardo e a considerare che il popolo numeroso non è quello dentro le mura di un oratorio, di un gruppo, di una parrocchia, ma è l’intero popolo che abita la città. Coltiviamo, dunque, la consapevolezza che lo studio e il lavoro, le relazioni familiari e le amicizie, la preghiera costante sono il primo luogo nel quale testimoniare che il dono della fede riempie di senso l’esistenza. So bene che per un giovane è sempre in agguato la tentazione delle emozioni forti, che l’abitudine sembra un nemico da combattere; so anche che tutto quello che appare ripetitivo e ordinario finisce col passare come noioso e quindi negativo».
«Eppure c’è un esercizio dell’apprezzamento del quotidiano che va riscoperto e praticato – prosegue -. Perché è proprio nella fatica giornaliera che si diventa grandi e si comprende ciò che nella vita vale e dura a lungo. È solo facendo un passo dopo l’altro che si raggiunge la cima. C’è una spiritualità delle piccole cose che va apprezzata perché dischiude segreti inaspettati nella conoscenza di sé ed apre un futuro meno incerto. Irrobustisce la volontà, tempra il carattere, rende saldi nei valori. Il tuo modo di studiare, di lavorare, lo stile delle tue amicizie e dei rapporti in casa, l’uso del tempo, dalla sveglia del mattino fino a quando rientri la sera, sono i luoghi reali nei quali si percepisce quanto il dono della fede riesce a plasmare la tua giornata e a diventare esempio e riferimento per chi ti sta intorno». «Cari giovani, cercate per la vostra vita e per il mondo ciò che è vero, buono e bello. Abbiate il gusto per ciò che riempie la vostra esistenza, spendete le vostre energie per costruire la strada del dialogo con tutti, oltre i pregiudizi e le differenze, riconoscete quanto di bello vi circonda e sappiate valorizzare tutte le risorse che il mondo vi offre. Quanto la ricerca e la scienza conquistano, se usato bene e con intelligenza, concorre alla felicità dell’umanità. Vincete ogni diffidenza, ma non siate ingenui. Confrontatevi con tutti, ma non perdete le vostre idee. Lottate contro ogni arroganza e ogni integralismo, ma sappiate anche essere coerenti e perseveranti».Così ha concluso la sua riflessione il cardinale Tettamanzi davanti alle migliaia di giovani in Duomo per la Veglia in Traditione Symboli lo scorso 4 aprile. Ha parlato a chi vive fino in fondo la sua appartenenza alla comunità ecclesiale. Eppure all’Arcivescovo non manca lo sguardo per un numero elevatissimo di ragazzi che lì non vanno ad ascoltare la Parola. «Dobbiamo pensare che siamo chiamati a rivolgerci a ogni uomo che abita le nostre città. Dobbiamo portare nel cuore e nella preghiera la storia di tutti, al di là di ogni differenza culturale, sociale, economica e religiosa. Ancora troppo spesso siamo tentati di considerare solo quelli che appartengono al nostro gruppo, alla nostra comunità, “ai nostri”. Ancora troppo spesso siamo tentati di contarci e di verificare se siamo o no un popolo numeroso. Scontrandoci così, inevitabilmente, con delusioni e frustrazioni. Anche tra i gruppi giovanili degli oratori è facile sentir dire: “Siamo sempre i soliti tre o quattro, non c’è nessuno, sono sempre quelli che devono fare tutto”».E così “i paletti della tenda” vanno allargati. «Il testo della Scrittura che abbiamo ascoltato ci spinge ad allargare il nostro sguardo e a considerare che il popolo numeroso non è quello dentro le mura di un oratorio, di un gruppo, di una parrocchia, ma è l’intero popolo che abita la città. Coltiviamo, dunque, la consapevolezza che lo studio e il lavoro, le relazioni familiari e le amicizie, la preghiera costante sono il primo luogo nel quale testimoniare che il dono della fede riempie di senso l’esistenza. So bene che per un giovane è sempre in agguato la tentazione delle emozioni forti, che l’abitudine sembra un nemico da combattere; so anche che tutto quello che appare ripetitivo e ordinario finisce col passare come noioso e quindi negativo».«Eppure c’è un esercizio dell’apprezzamento del quotidiano che va riscoperto e praticato – prosegue -. Perché è proprio nella fatica giornaliera che si diventa grandi e si comprende ciò che nella vita vale e dura a lungo. È solo facendo un passo dopo l’altro che si raggiunge la cima. C’è una spiritualità delle piccole cose che va apprezzata perché dischiude segreti inaspettati nella conoscenza di sé ed apre un futuro meno incerto. Irrobustisce la volontà, tempra il carattere, rende saldi nei valori. Il tuo modo di studiare, di lavorare, lo stile delle tue amicizie e dei rapporti in casa, l’uso del tempo, dalla sveglia del mattino fino a quando rientri la sera, sono i luoghi reali nei quali si percepisce quanto il dono della fede riesce a plasmare la tua giornata e a diventare esempio e riferimento per chi ti sta intorno».