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Milano

“Palazzolo”: «Curando la persona, siate un messaggio per tutta la città»

Nella chiesa interna all’Istituto Palazzolo, l’Arcivescovo ha presieduto la tradizionale Celebrazione eucaristica natalizia e visitato alcuni reparti. «Chiediamo che la storia di ciascuno di noi diventi storia di salvezza»

di Annamaria Braccini

22 Dicembre 2018
L'Arcivescovo al Palazzolo per il Natale 2018

Quasi vegliati dalle grandi immagini dei beati don Carlo Gnocchi e don Luigi Palazzolo, che campeggiano sopra l’altare della chiesa interna all’Istituto intitolato a quest’ultimo, sono tanti i fedeli riuniti per la Celebrazione natalizia presieduta dall’Arcivescovo. Una tradizione, ormai, che si rinnova fin dai tempi dell’episcopato del cardinale Martini (per l’attuale Pastore di Milano è la seconda volta) e un momento sempre molto atteso dagli ospiti con i loro parenti, dal personale medico e infermieristico, dalle suore, dai volontari e dai dirigenti dell’Istituto e della Fondazione Don Gnocchi di cui fa parte da 20 anni. Concelebrano, infatti, il presidente della Fondazione, don Vincenzo Barbante e il presidente onorario, don Angelo Bazzari, unitamente ad altri sacerdoti, tra cui il responsabile della Comunità Pastorale “San Giovanni Battista”, don Luigi Badi, nel cui territorio si trova il “Palazzolo”.
«La accogliamo tutti calorosamente», dice nel suo saluto di benvenuto, il cappellano, don Innocenzo Rasi – accanto a lui il coadiutore, don Oscar Boscolo -, che aggiunge: «la sua venuta ci porta la salda volontà di volerci bene».
Dal Vangelo di Luca, con il racconto del viaggio di Giuseppe e Maria verso Betlemme per il censimento decretato da Cesare Augusto, prende inizio l’omelia del vescovo Mario.
«L’imperatore entra nei libri, scrive la grande storia, quella che rimane incisa nei monumenti e nelle lapidi. C’è, però, anche la storia piccola di una coppia che deve trasferirsi da Nazaret a Betlemme a causa di quanto il grande imperatore ha decretato».
Sono le piccole storie, «le vite che i libri non raccontano, che i monumenti non ricordano, quelle delle persone da niente che sono considerate solo come unità da contare. La piccola storia fatta di piccoli e grandi momenti di fastidi e di festa, che non fa notizia, che non disturba nessuno, anche se, talvolta, è molto disturbata da coloro che hanno responsabilità, portando il peso e le conseguenze delle decisioni dei grandi».
Insomma, è la storia di ciascuno che non è importante se non per noi e per quelli che ci vogliono bene, suggerisce l’Arcivescovo, ponendo la domanda di quale sia la storia che interessa al Signore del cielo e della terra.
«Si interessa della storia della salvezza: non della storia grande, perché è grande o della piccola, perché è tale, ma perché entrambe possono diventare storie di salvezza».
«Siamo qui, a celebrare questa Messa natalizia, per ricordarci che, forse, la nostra vita non interessa a nessuno, ma interessa a Dio. Nel libro della vita tutto di noi è stato scritto e i nostri nomi sono scritti nel cielo, anche se non lo sono nei monumenti che riempiono la terra».
«In questa pagina del Vangelo, la storia grande e la piccola si incrociano e diventano una storia di salvezza. Questa coppia in cammino verso Betlemme di Giudea rappresenta tutta la nostra umanità; questa coppia che sta per dare alla luce Gesù, l’unico capace di trasformare la storia in storia di salvezza. Noi seguiamo con attenzione, devozione e commozione Giuseppe e Maria perché da questa piccola storia aspettiamo il Salvatore. Egli verrà: si chiama Gesù».
A conclusione della Celebrazione è don Barbante a ricordare l’incontro ideale tra i due beati, don Palazzolo e don Gnocchi, la cui storia «ha saputo incarnare il significato più vero e profondo del Natale. Figure che hanno saputo accogliere e condividere un disegno, rendendo presente Gesù».
Insomma, per usare la bella definizione che accompagna i ritratti dei beati sopra l’altare, davvero «una storia contemporanea».
Arriva, così, anche la consegna dell’Arcivescovo per tutti coloro che, a diverso titolo, sono impegnati nell’Istituto, giunto al suo 80esimo di fondazione e, ormai, non più immerso in una lontana e cupa periferia, come era nel 1938. «Qui la città, impegnata in imprese affascinanti, prende il volto di palazzi nuovi e moderni. Ma, proprio qui la vostra presenza vuole dare il segno di una comunità di persone che si conoscono, si aiutano, si stringono intorno alla fragilità, con un modo in cui si incontra il bene più prezioso che è la cura alla persona. Questo è il messaggio e la missione che il “Palazzolo” deve offrire al suo interno e al territorio».
Poi, dopo la visita ai reparti per le “Cure intermedie” e per gli “Stati vegetativi”, il consueto augurio di Natale con i dirigenti e il personale, quest’anno aperto dall’esecuzione di alcuni canti da parte del Coro Aquiloni (dal nome del reparto) formato dai parenti dei degenti in stato vegetativo o colpiti da gravi lesioni cerebrali. Un inno alla vita, un “Halleluiah” sempre possibile, anche nei momenti più bui, dall’evidente valore terapeutico e basato, appunto, sull’importanza della musico-terapia.
Roberto Costantini, direttore del Presidio Nord 1 e vicedirettore generale della Fondazione “Don Gnocchi”, spiega: «La nostra storia affonda le radici nel passato, interpreta il presente ed è capace di guardare al futuro. Siamo una realtà viva e vitale, avendo a che fare con l’entità più complessa del creato che è la persona, ma è magnifico prendersi cura di chi è nella fragilità».

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