Sirio 26-29 marzo 2024
Share

Riflessione

«Abitiamo a Cana di Galilea, la città dei segni»

Pubblichiamo l’omelia che l’Arcivescovo ha pronunciato nelle celebrazioni eucaristiche presiedute ieri nella Comunità pastorale San Paolo Apostolo di Senago e Castelletto di Senago e oggi nell'Unità pastorale di Novate Milanese, durante la Visita pastorale al Decanato di Bollate

di monsignor Mario DELPINIArcivescovo di Milano

9 Febbraio 2020

Non abitiamo a Cafarnao

La giornata di Gesù a Cafarnao, secondo il Vangelo (cfr Mc 1,21-37) inaugura la predicazione di Gesù con i segni che l’accompagnano. È una giornata che suscita l’entusiasmo della gente, che attira le folle, tanto che Simone dice a Gesù: Tutti ti cercano! (Mc 1,37).

La comunità cristiana di questo nostro tempo può vivere nella nostalgia di Cafarnao: il ricordo di tempi in cui la parrocchia, l’oratorio, le attività della comunità cristiana sembravano il centro del paese e la proposta cristiana risultava attrattiva per tutti può alimentare la nostalgia del passato e indurre allo scoraggiamento di fronte alla constatazione della situazione presente. Chi cerca il Signore? Quale attrattiva esercitano la predicazione del Vangelo e l’invito a conversione, il primo annuncio di Gesù: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo (Mc 1,15). Non abitiamo a Cafarnao.

Non abitiamo a Gerusalemme

La missione di Gesù orienta il suo cammino verso Gerusalemme. Gerusalemme è la città del compimento: là Gesù è accolto come colui che viene nel nome del Signore e compie la sua missione innalzato da terra, condannato a morte come “Gesù il Nazareno, il Re dei Giudei” (Gv 19,19).

Gerusalemme, città del compimento, fa intuire l’orientamento di tutta la storia e di tutte le storie, verso la città santa, la Gerusalemme nuova (Apc 21,2).

La comunità cristiana di questo nostro tempo non volge spontaneamente il suo sguardo verso la Gerusalemme nuova, sembra assestarsi nell’incompiuto e adattarsi alla sopravvivenza piuttosto che alla speranza. Non siamo a Gerusalemme.

A Cana di Galilea

L’insistenza del Vangelo di Giovanni sul ricordare i segni che Gesù compie a Cana di Galilea offre una immagine che può interpretare il presente delle nostre comunità, la loro vocazione nell’oggi.

Cana di Galilea è la città dei segni. Il nostro tempo chiede ai discepoli che seguono Gesù di abitare la città dei segni.

Quali segni possono invitare alla fede la gente del nostro tempo? Quali segni Gesù vuole compiere con la sua Chiesa?

Il segno del vino nuovo: la gioia.

Il primo segno è l’offerta del vino buono che soccorre alla festa minacciata di fallimento. Il primo segno è quindi la gioia. È un segno di un’ora che si deve ancora compiere (non è ancora giunta la mia ora: Gv 2,4), ma rivela le intenzioni di Dio e il senso della missione del Figlio.

La comunità cristiana è presente nella vicenda umana per offrire il vino buono di cui Gesù conosce il segreto. I discepoli contemplano la sua gloria e credono in Gesù: diventano il vino buono che salva dalla tristezza la storia del mondo.

Saremo segno della gioia del Regno in questo tempo, in questo luogo?

Il secondo segno: la speranza per tutti

Gesù vince la minaccia della morte. Il secondo segno rivela la destinazione universale della missione di Gesù, annunciata da Isaia: Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno a vedranno la mia gloria (Is 66,18b).

Tutti i popoli sono chiamati a riconoscere la gloria di Dio nella premura di Gesù per chi è minacciato di morte. È il segno che annuncia la vittoria sulla morte, dà fondamento alla speranza di vita che è scritta nel cuore di ogni uomo.

La missione della comunità cristiana è di abitare ogni terra e ogni tempo per annunciare la gloria di Gesù, che vince la morte.

Avremo parole, segni, canti, fede per essere testimoni di speranza. Avremo animo per alzare lo sguardo oltre l’immediato, oltre la cerchia ristretta dei rapporti abituali per raccogliere l’invocazione dell’umanità, di tutte le genti e tutte le lingue? Siamo la Chiesa dalle genti, il popolo della speranza in cammino nella storia?

La visita pastorale

La visita pastorale è occasione per visitare le comunità e far risuonare parole di Vangelo. L’invito del Vangelo è di riconoscere i segni del Regno che Gesù offre alla fede, quasi a dire: abitate in Cana di Galilea, la città dei segni.

Il vescovo visita le Comunità pastorali, celebra nelle parrocchie, incontra i Consigli pastorali, saluta le persone e i gruppi che riesce a incontrare: è un modo con cui esprime quella sollecitudine per le comunità e le persone e per il loro cammino di fede. Preti, diaconi, consacrati e consacrate, operatori pastorali che sono inviati dal vescovo esprimono nell’ordinario questa sollecitudine del vescovo. La presenza del vescovo è l’occasione per dire di persona che mi state a cuore e per esprimerlo in un incontro di persone.

Abitare a Cana: significa che il segno che offriamo è la gioia del Regno.

Abitare a Cana: significa che il segno che offriamo è la convocazione di tutte le genti per condividere la speranza della vita che vince la morte.