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Educazione

«Per comunicare con i figli servono nuove modalità»

L'opinione di monsignor Severino Pagani, Vicario episcopale per la Pastorale giovanile, sulla cosiddetta "emergenza educativa" -

di Pino NARDI Redazione

29 Marzo 2010

«Certamente ci vuole che i genitori stabiliscano nuove forme di comunicazione con i figli. Come? Dedicando loro più tempo e offrendo modelli di comportamento coerenti e convincenti. Parole, comportamenti e obiettivi comuni. Prima di fare qualcosa bisogna essere, come coppia e come persone». Monsignor Severino Pagani, Vicario episcopale per la Pastorale giovanile, riflette sull’emergenza educativa e sul rapporto genitori e figli.

Monsignor Pagani, oggi spesso i ragazzi crescono nella solitudine con genitori troppo indaffarati in tanti impegni, generando anche in loro un senso di fallimento nell’educazione dei figli. Come i papà e le mamme dovrebbero stare accanto ai figli?
Innanzitutto è necessario che i genitori si sentano amati e accolti con simpatia dalla comunità cristiana: a volte i più sensibili tra loro sono tristi perché si sentono investiti di ogni colpa e di ogni fallimento educativo. Non è facile essere genitori e non è facile essere figli. Nelle relazioni familiari spesso ci sono molti problemi e molta solitudine: i problemi degli adulti si intrecciano con quelli dei ragazzi. C’è un bisogno affettivo, un senso reciproco di appartenenza che però andrebbe molto educato, diretto, condotto. Perciò la famiglia è un soggetto educativo necessario ma non è sufficiente.

Il cardinale Tettamanzi parla di un’alleanza educativa tra i giovani e i genitori, i gruppi e le istituzioni. Cosa vuol dire in concreto?
La questione educativa oggi non è solo una problema delle famiglie. Forse è prima ancora la capacità di gestire una temperie culturale più vasta, che rende deboli i vissuti personali, sociali e istituzionali. Viviamo in una società conflittuale a tal punto che non favorisce l’intelligenza e mortifica anche le istituzioni e le regole più sacre. Ci vuole uno spazio umano nuovo, per elaborare – attraverso ampi consensi – una concezione condivisa della vita, sia sul piano umano sia sul piano religioso. È necessario che le famiglie rinuncino a un eccessivo individualismo, a grosse pretese di prestigio circa i loro figli. Insieme è auspicabile che le istituzioni incarnino una disponibilità alla comprensione, fatta insieme di rigore e di elasticità.

Formazione di una coscienza morale, educazione alla sobrietà e alla solidarietà, correzione verso i comportamenti negativi: le famiglie sono in grado oggi di trasmettere ai giovani questi valori?
Senza un’alleanza educativa tra pubblico e privato, personale e collettivo non si riesce a educare. Ci vuole un umanesimo nuovo fatto di fiducie e di rispetto, non avido di potere e di immagine. In questo senso la questione educativa è un traguardo degli adulti, a volte troppo ideologici, o aggressivi o pretenziosi. Altre volte la questione educativa si colloca in un contesto di eccessiva povertà umana e culturale, costretta a gestire bisogni così primari, da non vedere neppure il problema. Mai come oggi il compito educativo è insieme personale, politico, economico e religioso. La comunità cristiana sa queste cose e cerca di favorire una mediazione umanizzante.

Il Papa nel Messaggio per la 25a Giornata mondiale della gioventù ha sottolineato la mentalità attuale che propone una libertà svincolata da valori, regole e invita a rifiutare ogni limite ai desideri del momento. La proposta cristiana riesce a scalfire un sistema culturale così potente che condiziona le giovani generazioni?
Benedetto XVI ricorda che nello sguardo del giovane ricco, Gesù educa un uomo alla libertà. La libertà non è una possibilità vuota, ma la comunicazione di un amore offerto e di un amore ricevuto. Solo in questo amore si è in grado di diventare poveri, di unificare l’esistenza in un rapporto profondo con se stessi, con gli altri e con Dio. Gesù stabilisce un rapporto singolare: chi lo vive ha una forza incredibile. Tante storie di giovani, ragazze e ragazzi, mi dicono che è ancora possibile diventare cristiani. Oggi nelle famiglie a volte sono arrivati prima alla fede – una vera fede legata al Vangelo – i genitori; altre volte alla fede arrivano prima i figli. Lo sguardo di Gesù sul giovane ricco è più forte di ogni cultura ed è una grande scuola di libertà. «Certamente ci vuole che i genitori stabiliscano nuove forme di comunicazione con i figli. Come? Dedicando loro più tempo e offrendo modelli di comportamento coerenti e convincenti. Parole, comportamenti e obiettivi comuni. Prima di fare qualcosa bisogna essere, come coppia e come persone». Monsignor Severino Pagani, Vicario episcopale per la Pastorale giovanile, riflette sull’emergenza educativa e sul rapporto genitori e figli.Monsignor Pagani, oggi spesso i ragazzi crescono nella solitudine con genitori troppo indaffarati in tanti impegni, generando anche in loro un senso di fallimento nell’educazione dei figli. Come i papà e le mamme dovrebbero stare accanto ai figli?Innanzitutto è necessario che i genitori si sentano amati e accolti con simpatia dalla comunità cristiana: a volte i più sensibili tra loro sono tristi perché si sentono investiti di ogni colpa e di ogni fallimento educativo. Non è facile essere genitori e non è facile essere figli. Nelle relazioni familiari spesso ci sono molti problemi e molta solitudine: i problemi degli adulti si intrecciano con quelli dei ragazzi. C’è un bisogno affettivo, un senso reciproco di appartenenza che però andrebbe molto educato, diretto, condotto. Perciò la famiglia è un soggetto educativo necessario ma non è sufficiente.Il cardinale Tettamanzi parla di un’alleanza educativa tra i giovani e i genitori, i gruppi e le istituzioni. Cosa vuol dire in concreto?La questione educativa oggi non è solo una problema delle famiglie. Forse è prima ancora la capacità di gestire una temperie culturale più vasta, che rende deboli i vissuti personali, sociali e istituzionali. Viviamo in una società conflittuale a tal punto che non favorisce l’intelligenza e mortifica anche le istituzioni e le regole più sacre. Ci vuole uno spazio umano nuovo, per elaborare – attraverso ampi consensi – una concezione condivisa della vita, sia sul piano umano sia sul piano religioso. È necessario che le famiglie rinuncino a un eccessivo individualismo, a grosse pretese di prestigio circa i loro figli. Insieme è auspicabile che le istituzioni incarnino una disponibilità alla comprensione, fatta insieme di rigore e di elasticità.Formazione di una coscienza morale, educazione alla sobrietà e alla solidarietà, correzione verso i comportamenti negativi: le famiglie sono in grado oggi di trasmettere ai giovani questi valori?Senza un’alleanza educativa tra pubblico e privato, personale e collettivo non si riesce a educare. Ci vuole un umanesimo nuovo fatto di fiducie e di rispetto, non avido di potere e di immagine. In questo senso la questione educativa è un traguardo degli adulti, a volte troppo ideologici, o aggressivi o pretenziosi. Altre volte la questione educativa si colloca in un contesto di eccessiva povertà umana e culturale, costretta a gestire bisogni così primari, da non vedere neppure il problema. Mai come oggi il compito educativo è insieme personale, politico, economico e religioso. La comunità cristiana sa queste cose e cerca di favorire una mediazione umanizzante.Il Papa nel Messaggio per la 25a Giornata mondiale della gioventù ha sottolineato la mentalità attuale che propone una libertà svincolata da valori, regole e invita a rifiutare ogni limite ai desideri del momento. La proposta cristiana riesce a scalfire un sistema culturale così potente che condiziona le giovani generazioni?Benedetto XVI ricorda che nello sguardo del giovane ricco, Gesù educa un uomo alla libertà. La libertà non è una possibilità vuota, ma la comunicazione di un amore offerto e di un amore ricevuto. Solo in questo amore si è in grado di diventare poveri, di unificare l’esistenza in un rapporto profondo con se stessi, con gli altri e con Dio. Gesù stabilisce un rapporto singolare: chi lo vive ha una forza incredibile. Tante storie di giovani, ragazze e ragazzi, mi dicono che è ancora possibile diventare cristiani. Oggi nelle famiglie a volte sono arrivati prima alla fede – una vera fede legata al Vangelo – i genitori; altre volte alla fede arrivano prima i figli. Lo sguardo di Gesù sul giovane ricco è più forte di ogni cultura ed è una grande scuola di libertà.