Share

Celebrazioni

L’Anno paolino lascia una scia di luce per tutti

Un'occasione preziosa per accostare una delle figure più maestose e meno comprese di tutta la tradizione cristiana. Domenica 28 giugno l'Arcivescovo presiede la messa in Sant'Ambrogio

Pierantonio TREMOLADA Redazione

24 Giugno 2009

L’Anno paolino che si va a concludere lascia dietro di sé una buona scia di luce. È stata questa un’occasione preziosa per accostare una delle figure più maestose e meno comprese di tutta la tradizione cristiana. La numerose e varie iniziative promosse anche nella nostra diocesi hanno consentito di acquistare maggiore familiarità con l’Apostolo delle genti e di percepire la formidabile potenza del suo messaggio.
Siamo di fronte a una testimonianza che impressiona per la sua passione e la sua profondità. Uomo di grande intelligenza e di grande cuore, Paolo è l’esempio di come la fede in Cristo è in grado di conquistare totalmente un persona senza mutarne la personalità. L’indole fiera del persecutore non è stata annientata dall’incontro con il Risorto, ma ha acquistato la forma della totale consegna a lui in una vita consumata dalla fede fino al martirio.
La parola del Vangelo non si impone con forza e neppure si sovrappone. Chi la scopre, scopre se stesso nel riflesso della sua luce, si ritrova, si ripensa, e spesso si ravvede. Una trasformazione che non è rinnegamento di sé, non tradimento delle proprie origini, non rifiuto delle proprie radici, ma rinvenimento di un nuovo punto prospettico nel quale collocarsi per riconsiderare il bene sinora ricevuto, per coglierne ancora meglio tutto il valore. Questo in effetti è accaduto a Saulo di Tarso, apostolo di Cristo e suo testimone infaticabile.
Ci lasciasse anche solo questo in eredità, l’Anno paolino, non sarebbe cosa da poco. Avremmo meglio compreso che quanto viene dal mistero di Cristo non mortifica l’umano, ma lo esalta, lo nobilita, lo porta al suo pieno compimento, alla sua più alta misura, offrendogli la prospettiva ultima nella quale collocarsi. Chi scrive così nella lettera ai Filippesi: «Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri … E il Dio della pace sarà con voi!» (cfr Fil 4,8-9), deve aver fatto l’esperienza di una forte sintonia tra il meglio che esiste nell’uomo e la conoscenza di Cristo, tra il segreto rivelato nell’evento pasquale e il tesoro nascosto nella coscienza dei giusti della terra. L’Anno paolino che si va a concludere lascia dietro di sé una buona scia di luce. È stata questa un’occasione preziosa per accostare una delle figure più maestose e meno comprese di tutta la tradizione cristiana. La numerose e varie iniziative promosse anche nella nostra diocesi hanno consentito di acquistare maggiore familiarità con l’Apostolo delle genti e di percepire la formidabile potenza del suo messaggio.Siamo di fronte a una testimonianza che impressiona per la sua passione e la sua profondità. Uomo di grande intelligenza e di grande cuore, Paolo è l’esempio di come la fede in Cristo è in grado di conquistare totalmente un persona senza mutarne la personalità. L’indole fiera del persecutore non è stata annientata dall’incontro con il Risorto, ma ha acquistato la forma della totale consegna a lui in una vita consumata dalla fede fino al martirio.La parola del Vangelo non si impone con forza e neppure si sovrappone. Chi la scopre, scopre se stesso nel riflesso della sua luce, si ritrova, si ripensa, e spesso si ravvede. Una trasformazione che non è rinnegamento di sé, non tradimento delle proprie origini, non rifiuto delle proprie radici, ma rinvenimento di un nuovo punto prospettico nel quale collocarsi per riconsiderare il bene sinora ricevuto, per coglierne ancora meglio tutto il valore. Questo in effetti è accaduto a Saulo di Tarso, apostolo di Cristo e suo testimone infaticabile.Ci lasciasse anche solo questo in eredità, l’Anno paolino, non sarebbe cosa da poco. Avremmo meglio compreso che quanto viene dal mistero di Cristo non mortifica l’umano, ma lo esalta, lo nobilita, lo porta al suo pieno compimento, alla sua più alta misura, offrendogli la prospettiva ultima nella quale collocarsi. Chi scrive così nella lettera ai Filippesi: «Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri … E il Dio della pace sarà con voi!» (cfr Fil 4,8-9), deve aver fatto l’esperienza di una forte sintonia tra il meglio che esiste nell’uomo e la conoscenza di Cristo, tra il segreto rivelato nell’evento pasquale e il tesoro nascosto nella coscienza dei giusti della terra. Tutt’altro che integralista Siamo davanti a un uomo che è stato capace di superare gli steccati e di proclamare il dovere morale della comunione, convinto che Cristo è diventato «la nostra pace», che in lui è stato abbattuto ogni muro di separazione, che non c’è più né Giudeo, né greco, ma che tutti sono «uno» perché tutti sono stati salvati dalla Grazia. Dal cuore di un annuncio che è totalmente fondato sulla persona di Cristo, nuovo Adamo e Spirito datore di vita, scaturisce un messaggio di grande rispetto nei confronti di tutti coloro che cercano la verità e di grande considerazione per l’uomo come tale. Creati a immagine e somiglianza di Dio, destinati ad essere suoi figli adottivi, partecipi del suo Spirito, in cammino verso la redenzione totale, tutti gli uomini senza distinzioni sono un tesoro cui Dio rivolge il suo sguardo.Questa cura per tutta intera l’umanità è sicuramente una delle caratteristiche della fede cristiana, così come essa emerge dalle lettere di Paolo. Lui stesso fu così: un uomo che fremeva quando veniva oscurata la nobiltà dell’essere umano e non tollerava che si impedisse alla grazia di Dio di manifestare negli uomini tutta la sua Gloria.Si è voluto dipingere Paolo come un integralista del Cristianesimo, ma gli si è fatto un gran torto. Anche la sua concezione della Chiesa non è affatto a scapito di una visione del disegno di salvezza che vede destinataria l’intera umanità, ferita dal peccato e gemente nelle doglie di un parto. Paolo, colui che scoperto che la fede in Cristo non distrugge la santa eredità di Israele, ma insieme non separa inesorabilmente il Giudeo dal Greco, colui che è stato conquistato dal Signore di tutti e ha tuttavia compreso che lo stesso Signore guida l’umanità lungo diversi sentieri di salvezza, ci invita ad acquisire uno sguardo limpido e sereno sugli scenari attuali della storia. Una sapienza “nel mistero” guida i passi dell’umanità e questa sapienza affonda le sue radici nella morte e risurrezione di Cristo. Tutto ciò che è buono è custodito dal santo mistero della redenzione, al di là della coscienza che ciascun uomo può avere; tutto ciò che è buono è ispirato da questo stesso mistero, in forme varie e provvidenziali. «Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» – scrive Paolo nella sua lettera ai Romani – e tutti coloro che amano Dio concorrono al bene del mondo (cfr Rm 8,28).Andiamo forse verso un tempo in cui la buona volontà di tante persone diversamente visitate dalla Grazia, portatori dei «diversi colori di Dio», consentirà al mondo di contrastare derive sterili e di riscoprire la bellezza di ciò che, nobile e vero, è nell’umano riflesso della Gloria. Che tutto ciò sia secondo il pensiero e il desiderio di Paolo è certo. Che l’Anno paolino abbia contribuito a indirizzare più decisamente verso questa meta quanti appartengono alla Chiesa di Cristo è l’auspicio che tutti condividiamo. Messa con l’Arcivescovo – Alla conclusione dell’Anno paolino, domenica 28 giugno, alle 19, nella Basilica di Sant’Ambrogio, il cardinale Tettamanzi presiederà la solenne celebrazione eucaristica della vigilia dei Santi apostoli Pietro e Paolo. Locandina –