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Ricordo

La passione di don Caccia: la Chiesa come popolo di Dio

La testimonianza di due coniugi di Giussano, che hanno conosciuto don Silvano nell'Ac, poi nel Servizio per la famiglia e infine in parrocchia: «Aveva un riferimento costante alla dimensione comunitaria»

Eugenia e Sandro CITTERIO Redazione

25 Marzo 2009

Gli amici, i conoscenti, un po’ tra il serio e lo scherzoso, ci dicevano che eravamo fortunati, che ci era andata di lusso perché l’Arcivescovo aveva destinato don Silvano Caccia alla nascente Comunità pastorale S. Paolo in Giussano. E questo non era per fare graduatorie tra i preti, ma suonava come attestato di stima e apprezzamento per la sua persona da parte di chi l’aveva conosciuto in diocesi, in regione e oltre. E in effetti, avendo avuto il piacere di conoscerlo negli anni precedenti, eravamo contenti che fosse lui a guidare il cammino e i primi passi della nuova Comunità. Fiduciosi che avrebbe saputo valorizzare quanto di buono già esisteva e che sarebbe riuscito a far convergere le quattro parrocchie in un unico progetto.
L’abbiamo conosciuto in Azione Cattolica, prima come assistente dell’Acr, poi come Assistente unitario e responsabile dell’Ufficio Famiglia della Diocesi, incarichi gestiti per un certo periodo in contemporanea, entrambi con la stessa dedizione e generosità. Molto si è speso per la promozione della famiglia come soggetto vivo e attivo della vita della Chiesa. Ma non solo: credeva anche nella soggettività sociale della famiglia e lavorava perché questa dimensione non venisse trascurata nei cammini di spiritualità familiare. L’insegnamento che ci ha lasciato è la sua passione per la Chiesa come popolo di Dio, popolo in cammino, il suo costante riferimento alla dimensione comunitaria: l’idea di una pastorale non calata dall’alto, ma che si costruiva in un continuo lavoro di raccordo e coinvolgimento di tutte le realtà presenti sul territorio, senza far mancare stimoli per un rinnovamento, mete da raggiungere, indirizzi da perseguire, in costante riferimento alla Parola di Dio, ai piani pastorali del Vescovo, alla diocesanità.
Accanto alle problematiche d’indirizzo generale, sollecitava a ricercare e valorizzare le esperienze positive (i semi di Vangelo), presenti nel vissuto quotidiano delle famiglie, per prenderne coscienza innanzitutto, perché non rimanessero «un bene scontato di cui non ci si accorge nemmeno più», ma per farle emergere e conoscere, così da farle diventare segni di speranza per tutti. Gli amici, i conoscenti, un po’ tra il serio e lo scherzoso, ci dicevano che eravamo fortunati, che ci era andata di lusso perché l’Arcivescovo aveva destinato don Silvano Caccia alla nascente Comunità pastorale S. Paolo in Giussano. E questo non era per fare graduatorie tra i preti, ma suonava come attestato di stima e apprezzamento per la sua persona da parte di chi l’aveva conosciuto in diocesi, in regione e oltre. E in effetti, avendo avuto il piacere di conoscerlo negli anni precedenti, eravamo contenti che fosse lui a guidare il cammino e i primi passi della nuova Comunità. Fiduciosi che avrebbe saputo valorizzare quanto di buono già esisteva e che sarebbe riuscito a far convergere le quattro parrocchie in un unico progetto.L’abbiamo conosciuto in Azione Cattolica, prima come assistente dell’Acr, poi come Assistente unitario e responsabile dell’Ufficio Famiglia della Diocesi, incarichi gestiti per un certo periodo in contemporanea, entrambi con la stessa dedizione e generosità. Molto si è speso per la promozione della famiglia come soggetto vivo e attivo della vita della Chiesa. Ma non solo: credeva anche nella soggettività sociale della famiglia e lavorava perché questa dimensione non venisse trascurata nei cammini di spiritualità familiare. L’insegnamento che ci ha lasciato è la sua passione per la Chiesa come popolo di Dio, popolo in cammino, il suo costante riferimento alla dimensione comunitaria: l’idea di una pastorale non calata dall’alto, ma che si costruiva in un continuo lavoro di raccordo e coinvolgimento di tutte le realtà presenti sul territorio, senza far mancare stimoli per un rinnovamento, mete da raggiungere, indirizzi da perseguire, in costante riferimento alla Parola di Dio, ai piani pastorali del Vescovo, alla diocesanità.Accanto alle problematiche d’indirizzo generale, sollecitava a ricercare e valorizzare le esperienze positive (i semi di Vangelo), presenti nel vissuto quotidiano delle famiglie, per prenderne coscienza innanzitutto, perché non rimanessero «un bene scontato di cui non ci si accorge nemmeno più», ma per farle emergere e conoscere, così da farle diventare segni di speranza per tutti. Iniziative profetiche Ha vissuto la corresponsabilità laici/sacerdoti prima in Azione Cattolica, poi nella pastorale familiare. Profetiche alcune iniziative proposte in attuazione dei piani pastorali del Vescovo, tra cui ci piace ricordare l’“esercizio di comunione” tra sposi e presbiteri attuato a livello decanale, dopo un’esperienza diocesana. Voleva mettere a tema la buona relazione tra le due vocazioni, sacerdotale e matrimoniale, a partire dal “segno” che le due vocazioni, ciascuna con i propri carismi, rappresentano dell’amore di Cristo per la sua Chiesa. Proposta che varrebbe la pena riprendere all’interno delle comunità pastorali, in cui viene sollecitata una maggiore corresponsabilità dei laici e un recupero d’immagine di Chiesa come popolo di Dio.Ora, come parroco, ci stava gradualmente accompagnando nel cammino di comunità pastorale. La sua statura spirituale, l’esperienza maturata in incarichi di alta responsabilità, non gli hanno impedito di calarsi con umiltà, dedizione e generosità in questo nuovo compito. E la gente gli ha subito voluto bene. «Per noi – disse nell’omelia d’ingresso – il nostro essere sacerdoti altro scopo non ha che essere a servizio del sacerdozio comune di tutti i fedeli».Disponibile a incontrare e conoscere tutte le realtà esistenti. Pronto a valorizzare quanto di buono già esisteva. Colpiva la sua capacità di ricordare i nomi e il vissuto delle persone, segno dell’importanza data alle relazioni e di un’attenzione all’umanità delle persone. Anche il suo ultimo gesto lo testimonia: stava andando a confortare un amico nel lutto.Vorremmo terminare con una citazione de I Promessi Sposi, romanzo caro a don Silvano, che ne ha fatto una rilettura spirituale nel suo libro Questo matrimonio… S’ha da fare». È il “sugo della storia”, come intitola il capitolo don Silvano: «Che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore».Grazie, don Silvano, della testimonianza di fede e dell’aver fatto della “vita un’offerta gradita a Dio”. Ci conforta il sapere che sei nelle braccia del Signore «come un bambino nelle braccia della mamma».