Sirio 26-29 marzo 2024
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Ai giovani della Fom

«Fatti per l’eroismo»

Ennio APECITI responsabile Servizio per le Cause dei santi Redazione

24 Marzo 2009

Don Carlo Gnocchi fu nemico della mediocrità, soprattutto nel bene. Nel 1933, nella sua prima Conferenza ai giovani della Fom disse: «Vi sono ancora nelle nostre istituzioni troppi angoli morti da elettrizzare, ma con correnti ad alto potenziale. Vi è una massa amorfa di giovani – ricchi di doti e di possibilità – che si accontentano del ruolo di gregario e di socio diligente. Vivono solo di interesse. Sono i soci della “pappa fatta”. Lo devono quel povero Sacerdote piegare (e qualche volta soccombere) sotto una mole sempre crescente di lavoro, ma non muovono un dito. Giovane che mi leggi, se hai fede e amore per Cristo, balza in piedi. Sii apostolo». Quattro anni dopo, nel 1937, in Educazione del cuore scriveva: «I giovani vogliono avere fiducia e il modo migliore per dimostrarla loro è quella di impegnarli a fondo, facendo credito alle loro possibilità; essi hanno bisogno di essere rivelati a se stessi e solo le imprese rischiose possono dare la misura delle energie latenti nel loro essere; essi, come ha detto Claudel, “sono fatti per l’eroismo e non per il piacere”». Non lo scoraggiò l’orrore della seconda guerra mondiale. Nel 1946 in Restaurazione della persona umana scrisse: «L’uomo è un pellegrino malato d’infinito, incamminato verso l’eternità. La personalità è sempre in marcia, perché essa è un valore trascendente: la sua forma perfetta (S. Paolo parla di statura perfetta) non si raggiunge che nell’altra vita. Purché l’uomo non si lasci stancare della lotta, purché si opponga alla sclerosi progressiva o causata dagli anni e dalle delusioni della vita, purché dia ogni giorno un tratto alla costruzione del suo capolavoro». Don Carlo Gnocchi fu nemico della mediocrità, soprattutto nel bene. Nel 1933, nella sua prima Conferenza ai giovani della Fom disse: «Vi sono ancora nelle nostre istituzioni troppi angoli morti da elettrizzare, ma con correnti ad alto potenziale. Vi è una massa amorfa di giovani – ricchi di doti e di possibilità – che si accontentano del ruolo di gregario e di socio diligente. Vivono solo di interesse. Sono i soci della “pappa fatta”. Lo devono quel povero Sacerdote piegare (e qualche volta soccombere) sotto una mole sempre crescente di lavoro, ma non muovono un dito. Giovane che mi leggi, se hai fede e amore per Cristo, balza in piedi. Sii apostolo». Quattro anni dopo, nel 1937, in Educazione del cuore scriveva: «I giovani vogliono avere fiducia e il modo migliore per dimostrarla loro è quella di impegnarli a fondo, facendo credito alle loro possibilità; essi hanno bisogno di essere rivelati a se stessi e solo le imprese rischiose possono dare la misura delle energie latenti nel loro essere; essi, come ha detto Claudel, “sono fatti per l’eroismo e non per il piacere”». Non lo scoraggiò l’orrore della seconda guerra mondiale. Nel 1946 in Restaurazione della persona umana scrisse: «L’uomo è un pellegrino malato d’infinito, incamminato verso l’eternità. La personalità è sempre in marcia, perché essa è un valore trascendente: la sua forma perfetta (S. Paolo parla di statura perfetta) non si raggiunge che nell’altra vita. Purché l’uomo non si lasci stancare della lotta, purché si opponga alla sclerosi progressiva o causata dagli anni e dalle delusioni della vita, purché dia ogni giorno un tratto alla costruzione del suo capolavoro».