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Indagine

Famiglia, dalla convivenza alle nozze

Tra le coppie conviventi cresce la domanda del matrimonio cristiano. Lo evidenzia una ricerca del Cisf commissionata dall'Ufficio di pastorale familiare della Cei

Raffaele IARIA Redazione

30 Giugno 2009

Una ricerca del Centro internazionale studi famiglia per conto dell’Ufficio di pastorale familiare della Cei ha evidenziato come una percentuale significativa di coppie conviventi non esclude affatto un futuro matrimonio. In questi giorni è stato pubblicato il volume Convivenze e matrimonio cristiano. Tra realismo e annuncio di fede (Ed.Paoline), curato dal responsabile del Centro documentazione del Cisf, Pietro Boffi, a cui abbiamo rivolto alcune domande.

Qual è l’identikit della coppia che si prepara a ricevere il sacramento del matrimonio e che emerge dalla ricerca?
La coppia che si prepara a ricevere il sacramento del matrimonio e che si presenta per fare il corso di preparazione è una coppia che sta insieme da diverso tempo, di una certa età, non più giovane, con anni di esperienza alle spalle. Oltre alle convivenze, complessivamente possiamo dire che le coppie che si preparano al matrimonio hanno anni di vita insieme e che magari, anche se ciascuno a casa propria, condividono quasi tutto. Il matrimonio cristiano è una scelta che fanno mediamente convinti, ma un po’ a modo loro; nel senso che avvertono, con una certa vaghezza e imprecisione, che il matrimonio è una cosa diversa. Il bello del percorso di preparazione è riuscire a far chiarezza su che cosa vuol dire davvero il passo che si sta compiendo.

Oggi è sempre più alta l’età dei nubendi: oltre la metà dei fidanzati quando partecipa al percorso di preparazione al matrimonio ha più di 30 anni. Come mai?
Sono molti i fattori. Uno è molto concreto: si finiscono gli studi abbastanza tardi, si cerca un lavoro sicuro e stabile, si passa attraverso una fase di un precariato più o meno lungo, con stipendi magri. Ciò porta più in avanti questo tipo di scelta. L’altro fattore è rappresentato da una generazione che non cerca comunque qualcosa di stabile, con una tendenza a passare attraverso le esperienze in modo molto leggero, superficiale. Il matrimonio è esattamente il contrario. È l’idea della massima responsabilità. A ben pensare è l’unico legame così forte che deve durare tutta la vita. Un legame scelto con cognizione e responsabilità. Persino il legame con i figli non lo è altrettanto: i figli nascono e si diventa genitori, ma questo non ha comportato un sì specifico ad una persona, come nell’atto del matrimonio. Un terzo fattore è il ruolo della famiglia di origine che non spinge i figli ad assumere i rischi ragionevoli impliciti nella stessa vita. È appena uscita una pubblicazione dalla quale emerge che in Italia i giovani sono i meno responsabilizzati in tutta Europa. C’è pochissimo ricambio in tutti i settori della vita sociale e politica con un ritardo di 4-5 anni rispetto alla media europea. La generazione giovane italiana vive, lavoricchia, trascorre un po’ di tempo libero, ma niente d’impegnativo. A questo concorre, a mio parere, uno stile educativo della famiglia di origine.

Uno dei fenomeni recenti, segnalato nella ricerca, è il numero elevato di coppie conviventi o conviventi con figli. E di queste, molte chiedono il matrimonio cristiano. Quale significato dare a questa richiesta?
A un certo punto si avverte una sorta di nostalgia di questo patto socialmente riconosciuto che è il matrimonio, cioè di essere marito e moglie davanti a tutti. Noi diciamo che questi giovani sono lontani dalla Chiesa loro invece si definiscono praticanti saltuari. È una definizione assolutamente vaga, che vuol dire concretamente lontani dalla Chiesa, ma preferita alla definizione “non praticanti”. Sono giovani amorfi e tiepidi, ma proprio perché non sono così lontani chiedono il matrimonio cristiano, convinti che il vero matrimonio è quello in Chiesa. Il rito è fondamentale nell’uomo. È un bisogno che noi giudicheremmo forse superficiale in questi giovani ma nel momento in cui riemerge in loro, dobbiamo ascoltarli e non lasciarli soli. È un modo per incontrarli e accoglierli. E capita spesso che durante i corsi di preparazione tali coppie ammettano di aver finalmente capito di più del cristianesimo, rispetto a quello che conoscevano e che era legato alle nozioni apprese durante il catechismo da bambini.

La Chiesa cosa può dire?
Penso che si debba cominciare a pensare che il problema non si risolve rivolgendosi ai giovani, ma alle famiglie, costruendo comunità che sanno parlare alle famiglie, che sanno formulare delle proposte. Noi parliamo di fare proposte serie e consistenti ai giovani ma la necessità è quella di fare vedere nelle nostre comunità famiglie coerenti, pastoralmente accompagnate che danno sicurezza e trasmettono fiducia. C’è bisogno di queste famiglie aperte e non rinchiuse tra le quattro mura, capaci di testimoniare qualcosa di concreto. Una ricerca del Centro internazionale studi famiglia per conto dell’Ufficio di pastorale familiare della Cei ha evidenziato come una percentuale significativa di coppie conviventi non esclude affatto un futuro matrimonio. In questi giorni è stato pubblicato il volume Convivenze e matrimonio cristiano. Tra realismo e annuncio di fede (Ed.Paoline), curato dal responsabile del Centro documentazione del Cisf, Pietro Boffi, a cui abbiamo rivolto alcune domande.Qual è l’identikit della coppia che si prepara a ricevere il sacramento del matrimonio e che emerge dalla ricerca?La coppia che si prepara a ricevere il sacramento del matrimonio e che si presenta per fare il corso di preparazione è una coppia che sta insieme da diverso tempo, di una certa età, non più giovane, con anni di esperienza alle spalle. Oltre alle convivenze, complessivamente possiamo dire che le coppie che si preparano al matrimonio hanno anni di vita insieme e che magari, anche se ciascuno a casa propria, condividono quasi tutto. Il matrimonio cristiano è una scelta che fanno mediamente convinti, ma un po’ a modo loro; nel senso che avvertono, con una certa vaghezza e imprecisione, che il matrimonio è una cosa diversa. Il bello del percorso di preparazione è riuscire a far chiarezza su che cosa vuol dire davvero il passo che si sta compiendo.Oggi è sempre più alta l’età dei nubendi: oltre la metà dei fidanzati quando partecipa al percorso di preparazione al matrimonio ha più di 30 anni. Come mai?Sono molti i fattori. Uno è molto concreto: si finiscono gli studi abbastanza tardi, si cerca un lavoro sicuro e stabile, si passa attraverso una fase di un precariato più o meno lungo, con stipendi magri. Ciò porta più in avanti questo tipo di scelta. L’altro fattore è rappresentato da una generazione che non cerca comunque qualcosa di stabile, con una tendenza a passare attraverso le esperienze in modo molto leggero, superficiale. Il matrimonio è esattamente il contrario. È l’idea della massima responsabilità. A ben pensare è l’unico legame così forte che deve durare tutta la vita. Un legame scelto con cognizione e responsabilità. Persino il legame con i figli non lo è altrettanto: i figli nascono e si diventa genitori, ma questo non ha comportato un sì specifico ad una persona, come nell’atto del matrimonio. Un terzo fattore è il ruolo della famiglia di origine che non spinge i figli ad assumere i rischi ragionevoli impliciti nella stessa vita. È appena uscita una pubblicazione dalla quale emerge che in Italia i giovani sono i meno responsabilizzati in tutta Europa. C’è pochissimo ricambio in tutti i settori della vita sociale e politica con un ritardo di 4-5 anni rispetto alla media europea. La generazione giovane italiana vive, lavoricchia, trascorre un po’ di tempo libero, ma niente d’impegnativo. A questo concorre, a mio parere, uno stile educativo della famiglia di origine.Uno dei fenomeni recenti, segnalato nella ricerca, è il numero elevato di coppie conviventi o conviventi con figli. E di queste, molte chiedono il matrimonio cristiano. Quale significato dare a questa richiesta?A un certo punto si avverte una sorta di nostalgia di questo patto socialmente riconosciuto che è il matrimonio, cioè di essere marito e moglie davanti a tutti. Noi diciamo che questi giovani sono lontani dalla Chiesa loro invece si definiscono praticanti saltuari. È una definizione assolutamente vaga, che vuol dire concretamente lontani dalla Chiesa, ma preferita alla definizione “non praticanti”. Sono giovani amorfi e tiepidi, ma proprio perché non sono così lontani chiedono il matrimonio cristiano, convinti che il vero matrimonio è quello in Chiesa. Il rito è fondamentale nell’uomo. È un bisogno che noi giudicheremmo forse superficiale in questi giovani ma nel momento in cui riemerge in loro, dobbiamo ascoltarli e non lasciarli soli. È un modo per incontrarli e accoglierli. E capita spesso che durante i corsi di preparazione tali coppie ammettano di aver finalmente capito di più del cristianesimo, rispetto a quello che conoscevano e che era legato alle nozioni apprese durante il catechismo da bambini.La Chiesa cosa può dire?Penso che si debba cominciare a pensare che il problema non si risolve rivolgendosi ai giovani, ma alle famiglie, costruendo comunità che sanno parlare alle famiglie, che sanno formulare delle proposte. Noi parliamo di fare proposte serie e consistenti ai giovani ma la necessità è quella di fare vedere nelle nostre comunità famiglie coerenti, pastoralmente accompagnate che danno sicurezza e trasmettono fiducia. C’è bisogno di queste famiglie aperte e non rinchiuse tra le quattro mura, capaci di testimoniare qualcosa di concreto.