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Lo «stato di grazia» dei missionari ambrosiani

L'Arcivescovo li ha incontrati a Milano, in occasione del loro ritorno in Italia per le vacanze: «La missionarietà è propria di ogni Chiesa locale, si esprime in tante forme e voi siete tra quelle più coinvolte e impegnate»

15 Luglio 2008

14/07/2008

«Guardando i vostri volti respiro questo stato di grazia». Con queste parole il cardinale Dionigi Tettamanzi ha salutato i missionari diocesani tornati in Italia per un periodo di riposo, durante l’incontro svoltosi in Arcivescovado lunedì 7 luglio. Così l’Arcivescovo ha voluto sottolineare che i missionari diocesani, pur provenienti da diverse congregazioni religiose, sono parte della Diocesi milanese perché la missionarietà «è propria di ogni Chiesa locale, si esprime in tante forme e voi siete tra quelle più coinvolte e impegnate».

Quando si parla della missionarietà di Milano il Cardinale non può non pensare a tutte le vocazioni missionarie e, quindi, sente il dovere di esprimere la propria gioia. Lo scorso anno si è celebrato il 50° dell’enciclica Fidei Donum di Pio XII, ricordata in Diocesi in diverse occasioni.

Subito dopo Pasqua, a Milano, sul tema si era svolto un convegno missionario dei seminaristi italiani all’auditorium di S. Carlo al Corso. Il cardinale Tettamanzi era intervenuto sottolineando – in particolare per chi si stava preparando da presbitero – il punto della missionarietà fidei donum. Ai seminaristi e sacerdoti aveva ricordato che «quando uno ha la vocazione al sacerdozio, almeno implicitamente ha la vocazione a essere prete fidei donum. Questo perché si diventa sacerdote a disposizione dell’unica Chiesa».

All’incontro del 7 luglio ha invece rilevato che non si può essere sacerdote se allo stesso tempo non si coglie che nella propria vocazione sacerdotale c’è, tra le diverse modalità, anche quella specifica del fidei donum: «Se una persona vuole diventare sacerdote sappia che la sua disponibilità non può essere circoscritta solo alla Chiesa locale, bensì aperta all’intera Chiesa, in coerenza con il messaggio del Concilio Vaticano II».

L’Arcivescovo ha citato tre sacerdoti che, già 75enni, hanno chiesto il permesso di svolgere un incarico missionario. Il primo ha raggiunto un vescovo africano, il secondo è partito per la Turchia, dove don Andrea Santoro è morto martire (al riguardo il Cardinale non ha nascosto la sua preoccupazione: «Lì si vive un’altra forma di martirio che non è quella repentina o di sangue, ma è quella quotidiana, della solitudine, quella di credere che Dio si serve anche di un missionario che testimonia il Vangelo»), il terzo è riuscito a realizzare l’obiettivo di svolgere l’attività missionaria dopo diverse vicissitudini.

Ai presenti Tettamanzi ha ricordato che alla Diocesi ha chiesto di camminare, spiritualmente e pastoralmente, in due cammini precisi, nei quali è presente il tema missionario.

Il primo, triennale, è “Mi sarete testimoni”, dove l’idea di missione non è una delle tante, bensì la centrale attorno alla quale si è cercato insieme di rinnovare la pastorale di tutti i giorni. Il secondo è l’invito a curare e prestare attenzione alla famiglia in modo capillare e nella luce di servizio al Vangelo: proprio il tema della missionarietà l’ha reso alla portata di tutti.

Per questo, ha affermato l’Arcivescovo, non c’è «una casa cristiana che non debba sentirsi scossa dal vento e dal fuoco dello Spirito e non debba essere missionaria». Una missionarietà che oggi tocca anche ogni città e Paese del mondo.